Una nuova ribellione: The Creator, di Gareth Edwards

La qualifica del Creatore se l’attesta fin dal titolo Gareth Edwards, in questo suo nuovo progetto finalmente slegato da saghe preesistenti – e vorrà pur dire qualcosa per lui che viene da Godzilla e da Rogue One: A Star Wars Story. Difficile infatti non pensare a quanto i pesanti rimaneggiamenti operati in casa Lucasfilm possano averlo spinto a tornare su territori più personali, nonostante le dichiarazioni sempre improntate a gettare acqua sul fuoco di ogni polemica. D’altra parte, uno degli aspetti più interessanti di The Creator è proprio il modo in cui rimette in scena l’immaginario di quel titolo stellare, immaginando ancora una volta una lotta di ribellione portata avanti da pochi e mal organizzati combattenti contro una super arma che opera dal cielo. È cambiato il contesto, adeguato a tematiche che oggi sono di stringente attualità e tornano con sempre maggiore convinzione nel cinema spettacolare contemporaneo (pensiamo anche a Mission: Impossible Dead Reckoning), ovvero il confronto tra l’umanità e le intelligenze artificiali. Che in questo caso hanno dato vita a una nuova specie asimoviana di robot senzienti, accusati però di aver provocato un’esplosione nucleare sul Los Angeles e che vengono perciò banditi dall’intero continente americano. Il conflitto si sposta quindi in Asia, in una lucida parafrasi delle “guerre al terrore” post 11 Settembre, che dimostra il precipitato allegorico da sempre caro al regista di Godzilla.

 

 

La prospettiva, comunque, è dal basso, similmente all’esordio di Monsters, a seguito del tenente Joshua Taylor, che vuole ritrovare la moglie Maya, creduta morta durante un’operazione sotto copertura. Per lui inizia così un viaggio fra le tribù di robot, che permette allo spettatore di riconciliarsi con la visualità piena delle inquadrature e del world-building tipici del regista inglese. Sebbene zeppo di eventi, il film si prende i tempi giusti per rimanere tanto sui personaggi, in modo da rifletterne le ossessioni e le fragilità, quanto sugli scenari, ritratti attraverso ampie e avvolgenti carrellate aeree. La regia predilige a tal proposito momenti di grande ricchezza del dettaglio, utili a far percepire la “verità” delle location attraversate, unita a un senso di decadenza tecnologica che, per contrasti cromatici e una certa malinconia diffusa nel ritratto dei vari landscape, sembra uscita da un libro di Simon Stålenhag. A questi si alternano campi più stilizzati, in cui gli elementi architettonici e le figure descrivono un balletto di ombre che ammantano l’intera vicenda di una sensazione di forte cupezza. Formatosi nel campo degli effetti speciali, Edwards si pone insomma tra un certo senso di umanità al limite, degno delle opere di Neill Blomkamp, e una corposità delle immagini che rimanda al cinema del primo Ridley Scott. Fra questi estremi, The Creator mantiene l’unicità dello stile che avevamo imparato ad apprezzare nell’autore, mentre rinnova il concetto un po’ desueto del cinema di guerriglia, con i robot che sembrano moderni vietcong contro la superpotenza nemica.

 

 

Pertanto, mentre si passano in rassegna i possibili modelli – nel mucchio possiamo inserire anche le visioni futuribili di Katsuhiro Otomo, con il suo Akira – il film conserva una sua freschezza e un’urgenza data dalla capacità di parteggiare per i suoi personaggi, attraverso il complesso rapporto che si viene a instaurare fra Joshua e Alphie, la bambina robot che potrebbe descrivere un nuovo e differente stadio evolutivo delle macchine, ponendosi quale chiave di risoluzione della guerra (anche perché è l’unica a poter distruggere l’arma volante). La storia diventa così occasione di ripensamento dei fronti e analisi del significato di umanità in uno scenario di guerra, che pur nella classicità dell’insieme, appare tremendamente attuale. E se la piccola esordiente Madeleine Yuna Voyles è una rivelazione, la presenza di George David Washington, che sembra ancora prigioniero delle “inversioni” di Tenet, si conferma una presenza tanto fisica e presente al suo ruolo, quanto eterea e febbrile nell’ossessività con cui cerca di perseguire la sua ricerca, sballottato però fra le esigenze divergenti che la sfida gli pone continuamente davanti. In questo senso, The Creator riesce a qualificarsi quale esperienza totalizzante, pur nella lunga articolazione del racconto e nelle possibili aperture verso nuovi fronti che di continuo la sua vicenda offre.