Una relazione passeggera di Emmanuel Mouret: cronaca di un discorso amoroso

J’avoue j’en ai bavé pas vous

Mon amour

Avant d’avoir eu vent de vous

Mon amour

Ne vous déplaise

En dansant la Javanaise

Nous nous aimions

Le temps d’une

chanson

(Serge Gainsbourg)

 

La canzone culto che Serge Gainsbourg scrisse per Juliette Gréco nel 1963 (ma divenne celebre grazie alla sua stessa interpretazione qualche anno più tardi, nel 1968, tanto che in Scandale!, la biografa Jennifer Radulovic scrive: «Oggi, in Francia, appena si nomina La Javanaise, si suole ripetere due cose, quasi fossero un proverbio, un aforisma o più semplicemente una constatazione nota a tutti: la prima, si dice, è che non esista francese che non ne conosca a memoria le parole, la seconda è che La Javanaise è il vero inno nazionale francese») potrebbe essere stata il punto di partenza per Emmanuel Mouret che in Una relazione passeggera la utilizza come colonna sonora che ben descrive la relazione clandestina tra Simon (Vincent Macaigne), un uomo sposato, e Charlotte (Sandrine Kiberlain), single madre di tre figli, dal primo appuntamento – dopo essersi conosciuti a una festa – passando per tutti i successivi incontri che avvengono dapprima a cadenza settimanale, il giovedì, per poi intensificarsi o anche diradarsi in base agli impegni dell’uno o dell’altra. I due deliberatamente decidono di impegnarsi per non fare diventare la relazione più seria (a un certo punto parlano proprio di «contratto» quando Sandrine, giunta sul luogo di lavoro di Simon per vederlo mentre lavora percepisce il disagio di lui), ma a mantenerla in una forma leggera, per cui ogni volta in cui si vedono viene vissuta come se fosse l’ultima, ripetendosi che bisogna «approfittare del tempo che resta senza pensare al futuro» per evitare che il desiderio si cristallizzi seguendo quello che si rivelerà un luogo fin troppo comune secondo cui «il desiderio preferisce chi sfugge».

 

 

Sono proprio gli appuntamenti tra i due amanti – in un caffé, a una mostra, al parco, in libreria, in una camera d’hotel, nell’appartamento di un amico agente immobiliare… – a scandire il tempo: vediamo i due sempre insieme, mentre tutto quello che appartiene alle loro vite viene lasciato fuori campo (non incontriamo mai il figlio minore di Charlotte che pure vive con lei, così come non conosciamo la moglie di Simon che al limite lo chiama al telefono). In questo modo lo spettatore diventa parte integrante dell’azione perché è chiamato a ricostruire i pezzi mancanti. Una scelta ben precisa (e geniale) di Morel che in un’intervista ha dichiarato: «Avevo decretato fin dall’inizio che non li si sarebbe mai visti seduti, ma sempre in azione. Questo implica, quindi, pochissimi campi/controcampi». E di conseguenza numerosi piani sequenza congegnati in maniera perfetta. Sempre Mouret ha parlato a questo proposito di «una coreografia molto precisa». Ed è un piacere assistere alle scene in cui i due protagonisti gareggiano in bravura nel darsi la battuta tenendo un ritmo altissimo senza mai un cedimento.

 

 

Mouret, anche autore della sceneggiatura con Pierre Giraud, scrive dialoghi fulminanti, che a tratti ricordano il miglior Woody Allen («Mai avuto avventure – confida Simon al primo incontro – Sono talmente abituato al senso di colpo che un po’ di più o un po’ di meno è lo stesso» o ancora «Per venire a letto con un tipo come me bisogna essere caritatevoli»). In un gioco di raffinata mise en abyme alla fine ci si ritrova in un vecchio cinema a vedere Scene da un matrimonio, contraltare perfetto di quello che abbiamo visto sullo schermo. Un piccolo grande film, la cronaca di una relazione passeggera (come recita il titolo originale) in cui si ride molto, ma che ha quel fondo d’amarezza di tutte le storie d’amore davvero grandi.