Una tragedia faustiana nell’anonima cronaca quotidiana, Doppio passo, di Lorenzo Borghini

Doppio passo è un film ingabbiato dentro un realismo inesorabile, il desiderio evidente è quello di sovrapporsi ad una realtà diretta, conosciuta, alla quale diventa impossibile sfuggire, segnata com’è da una ricerca di affermazione, ma anche da un crudele gioco del destino che frantuma ogni certezza, sradica ogni speranza. Lo sport, il calcio, hanno da sempre costituito il corto circuito immediato della perdizione, il sistema complesso dentro il quale restare stritolati e passare da una gloria che i protagonisti non sanno vedere nel suo effimero rappresentarsi, ad una solitudine estrema, ad una dannazione improvvisa. Claudio Russo (Giulio Baranek) è il capitano della Carrarese, che anche grazie al suo contributo ha raggiunto il traguardo della serie B. Giulio è sposato con Gloria (Valeria Bilello), è un meridionale, un tarantino, che ha voglia di affermarsi e sull’onda dell’entusiasmo, e di un nuovo e migliore ingaggio per l’anno successivo, con sua moglie compra un ristorante. I cinquantamila euro che mancano li presterà l’amico Sandro (Giordano De Plano), si indebiterà, ma con la maglia della Carrarese in B i guadagni sono assicurati. Ma in questa divisione la società non ha più bisogno di un giocatore che ha superato i trent’anni e l’unico lavoro possibile è quello nella cava di proprietà del presidente (Bebo Storti) della società calcistica. Da lì iniziano i guai per Claudio e sua moglie, Sandro non si rivela l’amico che voleva apparire e per Claudio inizia un incubo.

 

 

Uno dei temi del film – nel quale spiccano le interpretazioni di Baranek e De Plano a testimonianza del fatto che al cinema italiano non sono gli attori che mancano – è quello di svelare, o forse meglio mostrare, dentro una storia da cronaca locale, e che forse non merita neppure un titolo sul quotidiano cittadino, il perverso meccanismo della gloria passeggera, dell’amicizia interessata, dell’infernale miscela tra desiderio e condizione umana. Doppio passo, lo si intuisce alla fine, sa estendere il proprio effetto a qualcosa di più grande rispetto alla stretta cronaca cittadina e di più universale rispetto alla fine di un amore o al sospetto di un’amicizia interessata tra Claudio e Sandro. Una storia maledetta, fatta di inganni e tradimenti dove non c’è purezza, ma solo il perfido desiderio di ricchezza che si accompagna sempre ad una perdizione. Il merito è stato quello di attraversare il largo mare di tutte queste insidie, utili per confezionare un lungo racconto, con un mezzo piccolo e agile come lo è una storia che supera il filtro della credibilità, nella quale sia possibile riconoscere con nettezza i confini e i pericolosi sconfinamenti dell’animo umano.

 

 

Doppio passo è anche il racconto di una finzione, l’amicizia come inganno, che si manifesta in quella magnetica e inconsapevole attrazione verso la dissoluzione di ogni certezza. Sandro è esattamente demoniaco nel suo atteggiamento verso Claudio. Lo adula, lo esalta e infine lo corrompe, perché vuole l’anima che Claudio non intende consegnargli. Un film che per intenzioni e contenuti, oltre che per senso complessivo e per l’effetto finale, si stacca da una media di contenuti del cinema italiano. Un film che sa coniugare lo sguardo puntuale sui microcosmi della provincia italiana, in una versione terribilmente insidiosa come può essere quella legata alla gloria passeggera dello sport. Doppio passo racconta una più profonda verità, quella di come catturare l’altrui ambizione e l’altrui desiderio di possesso con il tocco malefico di un sogno corrotto nel quale si perde tutto: amore, stima e denaro. Una tragedia faustiana che si consuma e si perde, invisibile, nell’anonima cronaca quotidiana.