David Harbour in Violent Night, directed by Tommy Wirkola.

Un’altra storia di Babbo Natale in Una notte violenta e silenziosa di Tommy Wirkola

Tra i classici per famiglie come Miracolo della 34a strada di George Seaton o La storia di Babbo Natale di Jeannot Szwarc e le dissacranti rivisitazioni horror dei vari Silent Night Deadly Night (ma ancor meglio l’episodio And All Through the House di Robert Zemeckis per la serie Tales From the Crypt), Tommy Wirkola ha scelto la strada intermedia. Ovvero quella di un film su Babbo Natale che non appartenesse a nessuno dei due ambiti sopra elencati, ma che allo stesso tempo li ricomprendesse entrambi. Ciò che infatti colpisce di Una notte violenta e silenziosa è la sua convinzione di poter portare a casa capra e cavoli, ancora più sorprendente in un’epoca dove ogni titolo deve avere un suo pubblico ben specifico per favorire le oliate macchine promozionali. A questo andrebbe aggiunta pure la mancanza di nomi di rilievo nel cast, essendo tanto Beverly D’Angelo quanto John Leguizamo ormai star abbastanza in declino. Tutto riposa insomma sulle spalle di David Harbour, che se continua a investire sul credito accumulato con la serie di Stranger Things, sul grande schermo non pare aver oltremodo brillato finora, considerata la natura abbastanza incolore del suo personaggio in Black Widow e la pessima performance di un Hellboy che a ogni fotogramma ha fatto rimpiangere Ron Perlman.

 

 

In ogni caso, Harbour è qui un Santa Claus disilluso e attaccato alla bottiglia, che nonostante tutto continua la sua missione natalizia, salvo poi restare incastrato in una situazione alla Die Hard: la facoltosissima famiglia americana dei Lightstone è stata infatti presa in ostaggio da un gruppo di mercenari armati fino ai denti. Il team è capeggiato da un leader che non ha la freddezza di un Hans Gruber, ma la frustrazione incipiente di chi il Natale lo odia con tutto sé stesso ed è ben felice di compiere il suo colpo proprio in quella detestabile nottata. Figuriamoci se a fare da terzo incomodo è Babbo Natale in persona! Per fortuna (degli ostaggi) il gigante in rosso – e questo è un dettaglio meno noto – prima di distribuire regali spaccava cervelli con il suo martello sui campi di battaglia, una vecchia abitudine che adesso può tornare utile. Se la sinossi può risultare interessante, l’incedere rinfocola le perplessità sopra elencate, rese più evidenti da un film che gestisce il proprio doppio registro in modo confuso e contraddittorio, a volte cercando i registri della commedia nera, altre affondando nell’horror splatter in maniera opportunistica e poco sensata.

 

 

Il che significa un’oscillazione continua tra un registro ammiccante e cartoonesco, in cui l’ensemble dei caratteri indugia nel sopra le righe, quasi a voler demistificare la serietà dell’assunto, e uno più cupo che cerca i toni del thriller. La speranza di Wirkola è evidentemente che i due estremi si incontrino a metà strada, ma il mix risulta abbastanza fastidioso nel modo in cui cerca di manipolare lo spettatore per convincerlo delle sue buone intenzioni. È infatti evidente il tentativo di dotare i principali personaggi di un background propedeutico alla descrizione di un arco narrativo compiuto, che vada di pari passo con la critica sociale dell’American Way of Life. La famiglia Lightstone è infatti presentata come un ricettacolo di potenti ipocriti e dediti all’adulazione reciproca in nome del solo denaro, incarnazione di quel cinismo e quella disillusione che trova un corrispettivo nel Babbo Natale stanco e imbruttito. Il confronto fra la vita e la morte con i rapinatori ha quindi tanto il compito di illuminare queste coscienze che hanno smarrito la retta via, quanto di mettere in discussione quel sistema di valori capitalista che ha generato una corruzione diffusa degli animi. Tutto molto bello, salvo poi non portare a particolari cambiamenti in un finale che non contraddice granché le premesse, sacrificando giusto qualche bigliettone del patrimonio di famiglia e inserendoci invece tanta giustizia sommaria, figlia di quella glamourizzazione della violenza che il cinema hollywoodiano odierno porta avanti ormai con nonchalance, spacciandola in questo caso anche come possibile ingrediente del suo peculiare film per famiglie. Nota di particolare curiosità per l’edizione italiana che aggiunge l’aggettivo “silenziosa” al titolo originale Violent Night, quasi a mo’ di commento ironico verso un film invece abbastanza urlato: e se, molto semplicemente, regista, produttori e distributori non sapessero cosa stavano facendo?