Vampyr e la veggenza del cinema di Carl Theodor Dreyer

Un viaggio attraverso il buio per riconquistare la luce. Un percorso nell’inconscio di un uomo, tormentato da ombre, presagi, la paura della morte, attraverso successivi passaggi fino alla rivelazione che, però, non attinge al razionale. Vampyr è un film intramontabile che ben si presta ad una visione ripetuta e da parte dello spettatore. Oggetto misterioso, affonda le radici nel cuore profondo del mistero avvolgendolo come fosse materia preziosa da compiacere. Carl Theodor Dreyer si dedica a Vampyr subito dopo La passione di Giovanna d’Arco, con la convinzione che il soprannaturale vampirico avrebbe infiammato gli spettatori europei, proprio come stava accadendo sui palcoscenici di Londra e New York con la versione teatrale del Dracula di Bram Stoker, mentre dagli Stati Uniti stava per sbarcare nei cinema il Dracula di Tod Browning. Ispirandosi ai racconti di Joseph Sheridan Le Fanu, Carmilla, The Room in the Dragon Volant, The Familiar e Mr. Justice Harbottle, Dreyer capovolge fin da subito i meccanismi dell’horror che si erano imposti fino ad allora e sceglie di ambientare il suo film soprattutto in esterni luminosi, dove prevalgono le molte sfumature dei grigi, piuttosto che il netto contrasto del bianco e nero.

 

 

Girato nell’estate del 1931 in un villaggio a nord di Parigi, in ambienti reali e utilizzando attori non professionisti (a partire dallo stesso protagonista David Gray, interpretato dal barone olandese Nicolas de Gunzburg con lo pseudonimo di Julian West, che ne fu anche il produttore), il regista danese si concentra sulla rappresentazione della paura, allude piuttosto che mostrare, suggerisce atmosfere e stravolge le situazioni, cercando di portare lo spettatore emotivamente nel film, come ben dimostra la celebre scena in cui David Gray osserva se stesso rinchiuso in una bara in attesa di essere sepolto. L’espressionismo poetico, l’horror, l’avanguardia in un unico film che sperimenta le possibilità del sonoro in anni ancora acerbi, affidando l’inquietudine ai rumori e limitando l’uso dei dialoghi (il film fu girato muto e poi sincronizzato in tre versioni, rispettivamente in francese, tedesco e inglese). Le regole del muto e le nuove consuetudini dell’era sonora valorizzate al massimo e utilizzate per dare al film un’aura imprendibile e di difficile definizione al punto da restare un unicum nella storia del cinema. Un sogno che sfiora l’incubo, il racconto popolare che si fa lieve e terribile al tempo stesso, onirico e spaventoso.

 

 

 

Il veggente Dreyer tuttavia, non fu compreso e prima ancora dell’insuccesso fu costretto dalla censura a eliminare e aggiustare scene ritenute eccessive. Impossibile risalire alla versione originale contro cui il pubblico, impreparato, si scagliò con tanta violenza, dal momento che tutti i negativi sono andati perduti. Tuttavia, a partire da diverse copie positive incomplete tedesche e francesi sopravvissute, si è riusciti a ottenere la versione più fedele possibile attraverso il restauro curato nel 1998 dalla Stiftung Deutsche Kinemathek e dalla Cineteca di Bologna, che ora lo distribuisce in sala con la colonna sonora integrale di Zeller. Il film che, secondo la studiosa tedesca Lotte Eisner «Per la sua portata e la sua selvaggia poesia, è un’opera degna di succedere al Nosferatu di Murnau» ha conquistato nelle epoche un pubblico capace di vedere e sentire ora ciò che era troppo presto proporre novant’anni fa.