Su #Iorestoinsala La candidata ideale di Haifaa al-Mansour e la lotta delle donne saudite

“Una visione ottimista del ruolo che le donne saudite possono ricoprire nella società”, spiega la regista Haifaa al-Mansour qui al suo quarto lungometraggio di finzione. E, infatti, la storia è tutta al femminile, a partire dalla protagonista, la dottoressa Maryam che lavora al pronto soccorso di una piccola clinica. La vediamo fin dall’inizio, alla guida della sua auto nuova fiammante, mentre affronta la polvere sella strada che deve portarla al posto di lavoro, più simile ad un sentiero di campagna che ad una via d’accesso ad un ospedale. Ecco enunciato il pretesto narrativo che sorregge tutto l’impianto del film: la lotta di questa giovane donna idealista e tenace per ottenere più diritti per sé, in quanto donna e medico, sottovalutata e costretta a subire le ben note restrizioni in vigore in un paese come l’Arabia Saudita. Quando, poi, per un problema con i documenti, le viene impedito di prendere l’aereo per Dubai, scatta la sua ribellione e, per una serie di casualità, si ritrova candidata alle elezioni cittadine. Schema semplice, fin troppo prevedibile e impostato in una drammaturgia che mira più a dimostrare che a svelare e che, in virtù di un tale compito non lesina ingenuità buoniste, finendo per tradire la stessa realtà che vuole narrare. E non solo perché tutto si svolge in chiave di commedia, ma perché non esiste traccia di quella profondità di sguardo e di intenti che un tale argomento potrebbe mettere in campo.

 

In questo continuo gioco di donne, che tolgono e mettono il velo, a mostrare quanto condizionata sia la loro vita, se ne percepisce solo il simbolo, e non la drammaticità. Dunque, si resta in superficie, intrecciando i molti discorsi coinvolti: il rapporto padre e figlie, il ruolo politico dell’arte (entrambi i genitori di Maryam e delle sue due sorelle sono musicisti), l’accettazione rassegnata del rigido patriarcato da parte delle donne stesse, la mancanza di libertà, causa di tanto conflitto. Se, da un lato, la regista di La bicicletta verde si pone come obiettivo di incoraggiare il cambiamento a partire dalla mentalità stessa delle donne, dall’altra non riesce a creare un percorso focalizzato ad andare alla profondità del problema, che è grande e grave e ha valenze politiche, sociali, economiche e intime. Alla fine, a sdrammatizzare ciò che dovrebbe essere invece approfondito, la donna non sarà eletta, perché una donna non può vincere contro un uomo e capovolgere lo status quo, ma la strada sarà asfaltata prima del confronto elettorale vero e proprio. Ulteriore beffa ai danni dell’idea stessa di cambiamento che il film dovrebbe sostenere e che invece tradisce. Proprio come fanno le molte donne accorse agli eventi elettorali di Maryam. Non risparmiano applausi ma poi dichiarano con noncuranza, di non voler/poter votare.