Venezia79 – Alle origini dell’orrore: Pearl di Ti West

La promessa di trasformare l’universo di X – A Sexy Horror Story in una saga è mantenuta. Sviluppato originariamente come backstory e girato poi, di fatto, praticamente in contemporanea al precedente film, Pearl torna indietro nel tempo per raccontare la giovinezza dell’eponimo personaggio, l’anziana signora assassina e smaniosa di possedere il corpo della giovane Maxine. Qui è una ragazza adolescente del 1918 con marito impegnato al fronte, sul finire della Seconda Guerra Mondiale. Vive nella già nota fattoria del Texas, con una madre repressiva e un padre immobilizzato sulla sedia a rotelle dall’influenza spagnola e sogna il successo, alimentato dalle incursioni segrete nella sala cinematografica cittadina. Proprio il cinema è ancora una volta, il territorio privilegiato su cui Ti West articola la sua mimesi, cercando di donare, sin dagli ampollosi titoli di testa, una specificità che distingua Pearl dal precedente X: abbandonate dunque le atmosfere alla Tobe Hooper e la granulosità dell’immagine tipicamente anni Settanta, l’impianto assume un respiro più ampio. Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2022, Pearl staziona infatti iconograficamente fra l’epica sudista alla David O. Selznick e il musical alla Robert Wise, con coreografie in technicolor che esplorano il mondo interiore della protagonista, salvo poi lasciare spazio alle derive più inquietanti. Il film cerca in questo modo di stare “dentro” e “fuori” il racconto di un’epoca, risuona di modernità nelle mascherine indossate in sala da Pearl e dal pubblico per l’epidemia in corso e rievoca gli albori dei nudie clandestini del muto, apripista di quel cinema porno che sarà poi al centro di X.

 

 

Un’opera insomma che cerca di trarsi dal possibile immobilismo e dalle trappole del prequel, “già scritto” dagli eventi che verranno: un po’ come la sua protagonista che non rappresenta un modello abbastanza “americano” (la famiglia è di origini tedesche), si avverte disallineata rispetto a una famiglia che ha raggiunto la terra delle opportunità salvo annegare nelle proprie sconfitte, e cerca nell’illusione dello show business il riscatto di quel viso “non abbastanza bello”. In questo è agevolata dalla forza trascinante di Mia Goth. Se West si accolla infatti regia, montaggio, produzione e co-sceneggiatura, l’attrice interpreta e interviene pure in fase di scrittura, prendendo sulle spalle l’intero progetto e padroneggiando tanto la dimensione più sognante quanto quella più drammatica, con affondi, naturalmente, nella violenza splatter. E crea così una nuova icona dell’horror, pur nei limiti di un progetto in generale meno sorprendente del precedente. Si resta ora in attesa delle future e già annunciate prosecuzioni, che promettono di esplorare altri filoni e differenti prospettive di questo antico/moderno mosaico.