Venezia79 – La guerra e la famiglia: Athena di Romain Gavras

L’esperienza è dichiaratamente immersiva: raccontare lo scontro fra polizia e abitanti delle banlieue con tutti gli artifici della macchina-cinema nella sua forma più “muscolare”. Lunghi e elaborati piani sequenza, quadri saturi di elementi, ritmo sostenutissimo che non perde un colpo. Ma, a raccontarla così, non si va troppo lontano dalla produzione “action” media di Netflix, nel cui alveo effettivamente un film come Athena nasce, si sviluppa ed è destinato, fatta salva la presentazione in concorso alla Mostra di Venezia 2022. A fare la differenza è la mano e l’intento di Romain Gavras, che inserisce il film nel suo percorso visivo e tematico iniziato con i videoclip per artisti anticonformisti come M.I.A. Si può rivedere ad esempio Born Free, da cui Athena sembra generato quasi per partenogenesi, con quei blindati carichi di forze dell’ordine che arrivano a fare razzia degli abitanti di un complesso popolare. Come a voler ribadire il controcampo, la storia inizia proprio con il furto di una camionetta della Polizia da parte di Karim e i suoi uomini, per dare il via alla sommossa che metterà a ferro e fuoco la Francia. Da lì è un crescendo che nel dare forma allo scontro di comunità e zone cittadine, allarga sempre più il campo, mentre al contempo lo restringe.

 

 

Perché questa storia magniloquente di conflitti a tutto campo fra eserciti di civili e poliziotti è, di fatto, il racconto di una famiglia, di cinque fratelli che scivolano tra le due fazioni, mettendo in campo tutto il complesso carico emotivo di sentimenti e senso di appartenenza a un luogo e un nucleo che la storia (anche quella con la maiuscola) naturalmente porta in dote. Accanto al leader della sommossa Karim c’è dunque Moktar, spacciatore che pensa soltanto a mettere in salvo la sua “roba”. Poi Sébastien, chiuso in sé stesso, probabilmente per i traumi accumulati in guerra. E poi ancora Abdel, il poliziotto che cerca di far ragionare i suoi consanguinei, ma subirà in pieno l’onda del rancore che ogni conflitto naturalmente genera. E infine il più piccolo, assente perché caduto forse sotto i colpi della polizia, fornendo il pretesto per innescare la spirale di violenza, secondo un modello tragicamente reale e già visto troppe volte.

 

 

In questa dinamica di allargare il campo al conflitto generale, tornando sempre a stringere sulle microstorie dei fratelli, Athena dona compiutezza a una forma esibita nella sua capacità d’impatto, ma emotivamente sempre più intensa e lirica. La sommossa che coinvolge progressivamente tutto il paese si ritrova nei cambi di fronte di questi fratelli tra loro sempre più divisi. Personaggi simbolici, che incarnano le dinamiche con cui i conflitti spogliano gli uomini delle loro sovrastrutture sociali, per ricondurli alla spietata e essenziale legge dell’homo homini lupus. Un po’ come accade anche con l’immaginario composito in cui Gavras si immerge, dai più ovvi modelli carpenteriani – la città come la New York di Plissken, ma anche le musiche a tratti minimali e ossessive -a quelli più specifici dei Kassovitz o di Ladj Ly, non a caso scelto anche come co-sceneggiatore. Tutto però si riduce all’essenziale, alla forza impattante di uno scontro sociale che infine diventa una storia di semplici protagonisti votati loro malgrado alla sconfitta. La messinscena epica della battaglia trascolora così naturalmente in un racconto amaro della realtà.