Vita da stuntman: The Fall Guy, di David Leitch

L’aspetto più interessante di un concept come quello di The Fall Guy sta nel modo diametralmente opposto con cui ha giocato rispetto alle carriere dei suoi protagonisti. Prima venne infatti la serie tv, da noi nota come Professione: Pericolo!, che Lee Majors accettò di interpretare perché lo liberava dal rischio del typecasting dopo il successo ottenuto con L’uomo da sei milioni di dollari. Colt Seavers era infatti l’opposto dell’eroe bionico e guardava invece ai simpatici furfanti di Burt Reynolds stile Il bandito e la madama. Con la medesima allure affascinante e strafottente, alternava l’attività di stuntman a quella di cacciatore di taglie, in entrambi i casi con buon successo. Il passaggio del testimone a Ryan Gosling, al contrario, fa pensare al Ken di Barbie riciclatosi come cascatore, ma sempre impegnato a spasimare per la sua bella. Almeno fino a quando un incidente non lo elimina dal giro per una meno prestigiosa carriera da posteggiatore. Il rientro sul set, inevitabilmente, rinfocolerà le vicende amorose, alternate però a una trama gialla: il divo del film (di cui Colt è la controfigura) è infatti sparito e bisogna ritrovarlo, anche se la ricerca dipanerà un autentico intrigo, con incidenti, morti e – ovviamente – tante acrobazie da cui solo un vero stuntman può uscire indenne. L’immersione nel Gosling-verse va di pari passo con la guida impressa da David Leitch, dichiaratamente attratto dalla possibilità di rimettere sotto i riflettori la categoria degli stuntmen, da cui egli stesso proviene: eroi ignoti di tanti successi, come già enunciava la bella title track della serie tv, The Unknown Stuntman, composta da David Somerville (che qui risentiamo sui titoli di coda).

 

 
Diversamente dal Quentin Tarantino di A prova di morte o C’era una volta a Hollywood, che aveva elevato la categoria a elemento mitopoietico autosufficiente, la versione “made in Leitch” di The Fall Guy opta però per una sovrastruttura che ricorda la narrazione più complessa di Atomica Bionda, unita a una serie di bisticci tra protagonisti che sembrano una reprise di Hobbs & Shaw. Di fatto, pur essendo una storia che ha per protagonista uno stuntman e che elimina l’idea dei cacciatori di taglie della versione televisiva, c’è molto di più nel film: c’è un andamento febbricitante tipico di un’opera cui le categorie stanno strette e che vuole cambiare pelle. In questo senso, la torsione più riuscita del The Fall Guy versione 2024 è quella che trasfigura l’ironia macho della serie in umorismo sofisticato da screwball comedy. Materia in cui Gosling, per l’appunto, eccelle, e che pure si rivela perfetta per la sua controparte Emily Blunt, oltre a trarre beneficio dall’approccio adottato in fase di scrittura da David Pearce, sodale di Leitch, ma che pure fa tesoro dei trascorsi con un autore come Shane Black – si ripensi a Kiss Kiss Bang Bang –, per cui aveva sceneggiato Iron Man 3. In questo modo, la bizzarra storia d’amore in salsa action che viene offerta allo spettatore odierno, si configura pure come un racconto sulla ricerca d’identità, che ossequia il ribaltamento prospettico in atto fra la controfigura – portata finalmente in primo piano – e il suo attore di riferimento.

 

 
Un discorso che Gosling e Leitch elaborano attraverso il rapporto fra l’uomo (lo stuntman) e lo spazio. Il mestiere del cascatore, dopotutto, è proprio quello di reinventare i luoghi scenici, per trasformarli da ambienti consueti a palchi su cui imbastire acrobazie spettacolari. È questo che fa Colt, ma stavolta fuori dal set, dove si ritroverà a spostarsi tra appartamenti e locali notturni, a saltare su tetti, usare mezzi di strada, d’acqua e d’aria (come yacht e elicotteri) e molto altro. Un’autentica grammatica visiva, che dal cinema si trasfigura nella vita, con cui il personaggio “scrive” la sua presenza nel mondo attraverso il corpo, di volta in volta pestato, destinato a cozzare contro gli ostacoli o a saltarli, fino a distruggerli nelle inevitabili scazzottate. Il rapporto fra il Colt e lo spazio attorno a lui riflette così l’essenza più autentica del lavoro di cascatore che, portato nel mondo “di fuori”, diventa autentica storia d’amore fra corpo e materia e legittimazione del passaggio da figura in ombra a personaggio principale a tutto tondo. Un’operazione di rinascita che però è anche un percorso di formazione, votato alla ricerca di quella metà che renda Colt un uomo completo: non il divo di cui essere la controfigura, che si rivelerà anzi un pusillanime facilmente riciclabile dall’industria, nonché autentica causa di tutti i problemi. Al contrario, l’elemento mancante è la donna amata, quella che salverà Colt dall’inazione cui si era condannato dopo l’incidente e dall’intrigo stesso in cui si è ritrovato suo malgrado. Il tutto avviene sullo sfondo del set australiano, nazione la cui scelta appare non casuale, data la sua lunga tradizione in fatto di eccellenti cascatori (da Grant Page a Bob Woodham) per titoli come Il drago di Hong Kong, Drive in 2000, Midnite Spares, fino alla più nota saga di Mad Max.