Quando la musica diventa il filtro di una storia, la lente attraverso cui osservare limpidamente le esperienze di un giovane personaggio diviso fra realtà e immaginazione, può accadere che la vita prenda i contorni di un’esistenza scandita da una tracklist sonora, come un concept album che accompagna lo spettatore-ascoltatore attraverso una narrazione posta lungo un itinerario ben preciso. Turn left turn right, in concorso alla 34esima edizione del Torino Film Festival, è l’esordio nel lungometraggio per Douglas Soek, residente a Seul ma nato e cresciuto negli States, che il suo primo film da regista lo scrive e lo monta, immaginandolo e strutturandolo proprio come una compilation di brani pop senza titolo che diventano i capitoli di un segmento cruciale della vita di Kanitha, ventenne dallo spirito libero e ribelle; tracce musicali come tappe di un percorso di crescita e abbandono definitivo di un’adolescenza i cui sogni e fantasie sono costrette a cedere il passo alle responsabilità e alle prime dolorose perdite dell’età adulta.
Ha sempre la testa tra le nuvole Kanitha. Vive a Phnom Penh, in Cambogia, e non riesce a tenersi stretto un lavoro (ogni volta è puntualmente licenziata), pronta a sognare ad occhi aperti e vedersi protagonista di qualche video musicale per distaccarsi da una realtà che le sta stretta. Il racconto procede infatti in gran parte per accostamenti e sovrapposizioni di momenti quotidiani a sequenze oniriche, un’alternanza che non provoca mai contrasti netti e che soprattutto nella seconda metà del film si contamina anche con l’inafferrabilità della memoria, quando i ricordi di un’infanzia lontana si fanno urgenti e significativi. Nonostante la leggerezza con cui affronta la vita, Kanitha deve fare i conti con la malattia di un padre prossimo alla morte di cui conserva i preziosi ricordi dei momenti trascorsi insieme: riemergono allora dal passato immagini e visioni (è l’acqua a dominare, legata ad un ricordo in particolare) che si mescolano al resto del racconto in un flusso visivo surreale e dinamico. È con il montaggio che Soek riesce a conferire enfasi e fascino a tutto questo processo di contaminazione tra le varie dimensioni narrative della storia, riducendolo alle soluzioni essenziali dello stacco netto e delle dissolvenze morbide e ipnotiche capaci di restituire allo spettatore il turbinio emotivo della protagonista, in bilico fra l’alienazione dell’immaginazione e l’attaccamento alla famiglia. Turn left turn right, come pare indicare lo stesso titolo, sembra infatti essere al bivio tra due strade che potrebbero sembrare contraddittorie, ma in realtà coerenti con i suoi personaggi. Se Kanitha non riesce a fare a meno di allontanarsi con la mente dal suo mondo, è anche vero che esprime con esso un legame profondo che si realizza prima di tutto negli affetti familiari, ma anche nella volontà di godere della bellezza della terra cambogiana, da ricercare nelle gite in barca lontano dal caos urbano o nei balli immaginati fra le antiche e iconiche rovine di Angkor. La macchina da presa non manca di contemplare i magnifici paesaggi inserendoli anche tra le fantasie di Kanitha, come a suggerirci la necessità di un ritorno alle radici di un’identità culturale, ma con lo sguardo rivolto in avanti.