Lo stacco è netto e violento. È un urto, un contrasto di toni, suoni, luci: un salto nel buio. “Nowit’s dark”, amava ripetere a se stesso Frank Booth, il villain dal complesso edipico di Velluto blu, capolavoro noir di David Lynch, che a venti minuti dall’inizio della prima parte del suo ritorno a Twin Peaks ci fa inghiottire dall’oscurità dei boschi attraverso la soggettiva di un altro night driver del suo cinema (o meglio, della sua automobile) mentre una versione al ralenti (come un doppio cupo e sgradevole) di “American Woman” delle Muddy Magnolias distorce un’atmosfera che sentiamo già malsana e inquieta; e data la parsimonia musicale che ha caratterizzato i minuti precedenti, è il segnale che qualcosa di significativo sta per accadere.Abbiamo immaginato e discusso sulle sue possibili sorti per 26 anni, ed ecco il famigerato doppelgänger dell’agente Cooper avanzare nelle tenebre di una stradina sterrata, verso la baracca di Otis e altri freak. La luce dei fari dell’auto quasi soccombeall’oscurità. It’s dark. Lynch fa del Cooper cattivo una creatura della notte, bruna, ferina e spietata, spinta dall’istinto di sopravvivenza e da un’assoluta volontà (“io non ho bisogno di niente, io voglio”) . Si concede un richiamo a un altro dei suoi personaggi memorabili, il Sailor di Cuore selvaggio affezionato a una giacca di pelle di pitone (come la camicia di Cooper), non a caso “simbolo di individualità e di fede nella libertà personale”. Ma è nella baracca di legno di Otis che si condensa tutto il mondo lynchano, dove negli interni sudici e consumati, una luce fioca illumina a malapena i suoi “abitanti”, spettatori deformi di un meeting scandito da silenzi misteriosi e sguardi ambigui, che potrebbe benissimo avere luogo nella Loggia Nera, sebbene l’atmosfera si avvicini più a quella del “convenience store”che vediamo in Fuoco Cammina con me.
Una realtà senza luce, abitata da corpi opachi e dai propositi segreti: materiale narrativo privilegiato da Lynch sin dagli esordi, poi codificato simbolicamente nella sequenza d’apertura di Velluto blu dove la macchina da presa attraversava il verde di un prato per rivelarne le viscere disgustose. E il regista del Montana non ha mai smesso di raccontarci quel sottobosco animalesco, né di sognarlo in questi 11 anni di assenza dagli schermi, grandi e piccoli, riversando in questo nuovo Twin Peaks le ossessioni e gli incubi del suo immaginario, fornendoci l’appiglio di una rassicurante familiarità e lo spaesamento di una narrazione priva di baricentro (almeno nelle prime due parti). L’entrata in scena del doppio di Cooper è allora l’introduzione al bestiale che si muove fra le ombre, non solo della cittadina di Twin Peaks. Non suggerito né sottinteso, ma esibito – com’era per BOB del resto -nella sua selvaggia fisicità.