All the Streets Are Silent di Jeremy Helkin: ritorno al futuro

 

Come ha detto qualcuno, le storie capitano solo a chi le sa raccontarle […]

Analogamente, forse, le esperienze si presentano solo a chi è capace di viverle.

Paul Auster, La stanza chiusa (Trilogia di New York)

 

 

Nel documentario All the Streets Are Silent – The Convergence of Hip Hop and Skateboarding, il regista Jeremy Helkin (anche autore della sceneggiatura con Dana Brown), al suo primo lungometraggio, racconta un periodo fondamentale – gli anni dal 1987 al 1997 – in cui a Manhattan due subculture di riferimento come lo skateboard e l’hip hop dapprima prosperano separatamente, ai margini, poi iniziano a integrarsi e a dialogare rivelandosi seminali per la cultura pop come la conosciamo oggi e conquistando di fatto il mondo. La voce narrante è quella di Eli Morgan Gesner che quel periodo lo ha vissuto e plasmato, grazie a un felice connubio di mentalità artistica e imprenditoriale, facendo tesoro dell’esperienza dei graffitari e dando un fondamentale impulso per differenziare la scena skate newyorkese da quella californiana che la faceva da padrone. È lui che nel 1993 ha fondato, insieme a Rodney Smith e Adam Schatz,  Zoo York, azienda leader nel mercato dello skateboard e che con Mixtape ha realizzato il primo video che mostra l’interrelazione tra skate e hip hop. Tante sono le testimonianze dei protagonisti dell’epoca, da skateboarder professionisti (Keith Hufnagel, Peter Bici) a figure di riferimento come Yuki Watanabe, fondatore del club Mars (che decide di chiudere nel 1992 perché la situazione era incontrollabile, «c’erano continue sparatorie per colpa delle gang»), artisti della musica (Group Home, Moby che muove i primi passi come DJ proprio al Mars, DJ Clark Kent), del cinema (Rosario Dawson, Leo Fitzpatrick, Fab 5 Freddy) e della radio (Bobbyto Garcia).

 

 

Negli anni 80 la gentrificazione di New York era di là da venire e i quartieri della città di vetro era rigorosamente separati gli uni dagli altri. Nascere nelle case popolari, essere neri o ispanici precludeva anche solo l’idea di fare skateboard in determinate zone della città per cui «occupavamo quegli spazi che normalmente le persone evitavano» ovvero i bassifondi, le zone malfamate. A poco a poco lo skate diventa il mezzo per superare le barriere e contemporaneamente l’hip hop prende piede (nel film si vede un giovane Jay Z muovere i primi passi). Quando le due forme cominciano a parlarsi diventano esplosive: il film Kids (1995) di Larry Clark su sceneggiatura di Harmony Korine e Jim Lewis diventa fenomeno di culto dando grande visibilità al modo di vivere di queste persone (e segna il successo di Justin Pierce, morto suicida a 25 anni e di Harold Hunter, poi morto di overdose a 31 anni); l’apertura del negozio Supreme, il cui marchio è ispirato alle opere dell’artista Barbara Kruger, viene concepito proprio come una galleria in cui le tavole da skate sono le opere d’arte ed è un segno di quanto il fenomeno stesse diventando mainstream e di moda facendo forse perdere in parte la sua forza dirompente. Lo stesso vale per l’hip hop la cui onda lunga continua ancora oggi. Volutamente il regista sceglie di non concentrarsi su un’unica figura ma di dare voce, attraverso gli archivi e le interviste, a una vera e propria tribù che si muove sullo sfondo di quella che è forse la vera protagonista del film: New York. Con un montaggio accattivante e una strepitosa colonna sonora All the Streets Are Silent è un documento fondamentale che fa rivivere un passato non troppo lontano riflettendo sull’inevitabile perdita d’innocenza insita nel diventare fenomeno di massa (le didascalie finali ci informano che nel 2020 lo skateboard è diventato sport olimpico e conta su un’industria da 2 miliardi di dollari l’anno).

 

Elenco delle sale in cui il film viene proiettato: clicca qui