Franco Maresco ci guida alla scoperta di Joe Lovano, delle sue radici siciliane. A Palermo, in un torrido pomeriggio d’agosto il sassofonista cerca ispirazione in una platea vuota. Il suo live sarà un omaggio a John Coltrane. Stacco, si parte da New York e da una citazione di Ornette Coleman evocata dallo stesso Lovano: “la musica esisteva prima che la parola musica venisse inventata”. Il capitolo americano è il più convincente del film. Un po’ perché veicola la filosofia di Lovano che vede nel jazz una forza vitale e nella relazione con lo strumento la combinazione, la sintesi di tutte le esperienze fatte nella vita, rivendicando il fatto che il melting pot della Sicilia è nel suo Dna, attraversa la sua musica. Immagini di repertorio con le navi cariche di immigrati che all’inizio del secolo scorso arrivavano negli Stati Uniti sono accompagnate dal sax di Lovano. Fotografie che danno un volto ai quattro nonni siciliani mai conosciuti, e al padre Antonio Lovano (detto Tony) e alla madre Giuseppina Virzì. Tony suona il sax sogna Coleman Hawkins e Lester Young e una notte è in una jam session con John Coltrane. Ma la vita a Cleveland non fa sconti e di giorno fa il barbiere, il suo salone sembra un negozio di dischi e in breve tempo diviene un ritrovo per i musicisti che passano in città. Tony poi la sera suona nei locali e nei ritagli di tempo insegna al figlio Joe. Presto si accorge del suo talento e lo manda a studiare al Berklee College, la prestigiosa scuola di musica di Boston.
Fra gli insegnanti c’è Gary Burton che diverrà una figura decisiva nella formazione del Lovano jazzista. Nel 1976 Joe si trasferisce definitivamente a New York, nella “scena musicale che contava”. Si nutre dei concerti di Dexter Gordon al Village Vanguard, va a casa di Rashied Alì per suonare con lui oppure si confronta con Elvis Jones. Il film approfondisce l’influenza di Coltrane su Joe Lovano. Gli fa incontrare il figlio Ravi e insieme rievocano le leggendarie quattro serate al Vanguard con Coltrane che negli intervalli va in cucina e continua a suonare e a elaborare idee. Prima di tornare in Sicilia c’è il tempo per la sequenza più evocativa e struggente. In un pomeriggio piovoso Joe Lovano si reca in visita-pellegrinaggio a Dix Hill, New York, all’ultima (modesta) casa di John Coltrane. Qui di fronte a una copia dell’album A love Supreme si confronta con quella musica che si fa trasformazione vitale ed esperienza mistica. Questa era l’occasione di imbastire una analisi del lavoro di Lovano, che nella sua produzione ha cercato una sorta di stilizzazione del linguaggio di Coltrane. Ma non c’era tempo, bisognava ritornare nella terra degli avi. Alla quale probabilmente Lovano deve il fraseggio torrenziale, l’energia, il sacro fuoco della passione che lo anima da sempre. Perciò eccolo a Alcari Li Fusi e Cesarò, dove fra visite al cimitero, abbracci ai parenti (mai conosciuti), sindaci commossi, masterclass con la banda, partecipazione alla processione in onore di San Calogero, emerge prepotente il grottesco che abita lo sguardo di Franco Maresco. Ma il tempo vola e bisogna tornare a Palermo per il concerto, per quella corsa verso l’assoluto che è A Love Supreme.