Suonano a Bologna, il 20 ottobre, all’Antoniano, unica data in Italia. Un piccolo evento che andrebbe onorato. Si chiamano Low e per chi ha bazzicato la scena indie statunitense negli anni Novanta e a seguire e non ha cercato la potenza nei suoni ma, piuttosto, il loro potere ipnotico sono oggetto di culto. La band è formata dai soci fondatori Alan Sparhawk (chitarra) e Mimi Parker (batteria) e dal bassista Steve Garrington che ha raggiunto la band nel 2008. Alan e Mimi sono originari di Duluth, Minnesota, che naturalmente vuol dire Bob Dylan, ma anche lo scrittore Thomas Williams (1926-1990), recente scoperta per il nostro paese: Fazi ha appena pubblicato il suo I capelli di Harold Roux con il quale vinse nel 1975 il National Book Award. Da leggere. Mentre i Low hanno appena pubblicato il loro undicesimo album, Ones and Sixes che è anche uno dei loro più belli, perché ispirato nelle composizioni e innovativo nell’inserire nuove sonorità sintetiche in una collaudata struttura a lenta somministrazione.
Dagli esordi, la band è diventata un perfetto esempio di slowcore, passo lento, avvolgente nei ritmi, uno sguardo al folk, cioè alla tradizione, e uno ai loop, alle reiterazioni dei Velvet Underground. Tutta loro invece la costruzione armonica basata sul contrasto tra le due voci, maschile e femminile, dei fondatori. Che sono mormoni e hanno inserito nel rock elementi come colpa e redenzione ispirandosi ai Sacri testi. Senza la furia di Nick Cave, ma quasi sottovoce. Mai stati grandi star, non hanno l’allure per esserlo e non lo hanno mai cercato. Ma sono stati sempre molto amati e rispettati da colleghi con nomi di gran fama. Hanno fatto da supporter per i Radiohead e Robert Plant, proprio quello dei Led Zeppelin, è un loro estimatore: nel suo disco del 2010, Band of Joy, ha piazzato ben due cover dei Low, Monkey e Silver Rider, due pezzi tratti dallo stesso album, The Great Destroyer del 2005. Monkey sarà in scaletta del live, almeno a guardare i concerti appena tenuti negli Stati Uniti. Chi li ha visti racconta di un set perfetto, rarefatto, pieno di tensione pronta a esplodere in furia elettrica. Farà da padrone di casa il nuovo album (di Lies potete vedere qui sotto il video), registrato nello studio di Justin Vernon, alias Bon Iver, uno dei più bei nomi della scena musicale contemporanea. E ci sarà spazio per il precedente The invisible Way, prodotto nel 2013 da Jeff Tweedy, front man dei Wilco. E passi indietro nel tempo con recuperi da dischi antichi come Secret name del 1999 e Things We Lost in the Fire del 2001. E ci sarà il tempo di pensare, assistendo a questo concerto, alla meravigliosa possibilità che abbiamo tutti di essere coerenti nelle nostre vite, di trovare il nostro spazio nel mondo senza spingere. Con gentilezza. I Low e la loro storia lo dimostrano.