Drive-Away Dolls e l’universo queer di Ethan Coen e Tricia Cooke

È un ritorno al passato per Ethan Coen, qui in solitaria senza il fratello Joel. In parte per come Drive-Away Dolls recupera la formula del road movie grottesco alla Arizona Junior, ma anche perché l’idea risale almeno a venti anni prima, quando l’aveva sviluppata insieme alla moglie Tricia Cooke per Allison Anders. Non se ne fece nulla e il progetto rimase nel cassetto, salvo poi essere recuperato durante il lockdown da Covid, assumendo la forma che oggi vediamo sullo schermo. L’ambientazione resta quella del periodo in cui fu stesa l’idea, a cavallo fra gli anni Novanta e il Duemila, sebbene lo stile sia al contempo ancor più retrò. Nel suo approccio generale, infatti, il film guarda evidentemente a una certa serie B americana degli anni Sessanta, capace di unire un divertimento esteriore a uno sguardo più graffiante e che irride la provincia americana, attraverso le situazioni di volta in volta affrontate dalle protagoniste. Che in questo caso sono Jamie e Marian, l’una sfacciata e golosa di vita, l’altra morigerata e più intellettuale. Scacciata di casa dalla compagna, la prima chiede alla seconda di fare un viaggio per rilassarsi e l’occasione sembra arrivare quando spunta un’auto da consegnare a Tallahassee, in Florida, dove vivono gli zii di Marian. Peccato che a portare il veicolo dovessero essere un trio di gangster al soldo di un uomo misterioso e potente, cui è collegato il prezioso carico nascosto nel cofano. Di qui, naturalmente, l’avventura decolla con le due folli amiche che diventano, loro malgrado, ricercate. L’idea di un lesbo noir in forma di road movie diventa così la moderna versione di Coen e Cooke delle parabole femministe alla Stephanie Rothman o Doris Wishman (cui si potrebbe aggiungere il più noto Russ Meyer), dove la fuga delle protagoniste diventa sguardo sulle dinamiche di certo American Way of Life, dagli alberghi gay friendly al conservatorismo più ipocrita della politica, oltre che bandiera di un’inclusività radicale nel tratteggiare figure maschili detestabili e inette.

 

 
A loro le novelle eroine contrappongono tanto una verve capace di trarle sempre d’impaccio e di sfruttare le situazioni a proprio vantaggio, quanto a volte la capacità di assestare i giusti calci e pugni. Nondimeno, a fronte di un tono da buddy movie che tara il divertissement generale, con tanto di spiritosi camei illustri, Drive-Away Dolls si lascia il tempo di indagare il vissuto delle protagoniste, attraverso uno scavo psicologico delle loro debolezze. Il rapporto fra Jamie e Marian evolve in questo modo in un’esperienza di reciproca conoscenza, puntellata dal confronto con comunità queer, macho stolti e, naturalmente, dall’interazione di caratteri fra loro opposti, ma che sapranno trovare l’equilibrio e la liberazione reciproca, l’una dalle inibizioni, l’altra dall’instabilità emotiva. Lo faranno attraverso un lavoro costante sui dialoghi, da sempre parte essenziale della grammatica cinematografica di marca Coen, ma anche alla fisicità stessa delle interpreti, che si donano ai loro ruoli senza reticenze e con grande onestà, sia nelle scene di sesso che in quelle più direttamente slapstick. Jamie, in particolare, interpretata da Margaret Qualley, è stata scelta dagli autori proprio in virtù della sua capacità di combinare controllo attoriale e mobilità sfrenata, come dimostrato nello spot di Spike Jonze Kenzo World, dove era protagonista di un’irrefrenabile spinta al ballo.

 

 
In tal modo, Coen e Cooke cercano un possibile punto di contatto fra la libertà espressiva dei modelli, dove alla mera sexploitation oppongono però una più ricercata sensualità dei corpi, e la voglia di dare forma a un meccanismo maggiormente strutturato. In questo senso a prevalere è più il divertimento che la solidità narrativa vera e propria, complice anche una durata molto breve e una narrazione fin troppo lineare, ma il progetto è pensato per sviluppi di più ampio respiro. Botteghino permettendo – da noi il successo è stato limitato dalla decisione pur meritoria di distribuirlo nella sola versione sottotitolata – l’intenzione è infatti quella di realizzare una trilogia di progetti a tematica queer, anch’essa frutto dei vari brainstorming ventennali della coppia.