FilmmakerFest – Il cinema ritorna in classe: Filmstunde_23 di Edgar Reitz e Jörg Adolph

“Finché il cinema non verrà insegnato a scuola non prenderemo atto della più importante rivoluzione nell’educazione umana”. Con questa frase di Béla Balász, collocata all’inizio del film, Edgar Reitz nel 1968 si fece pioniere portando il cinema all’interno di una scuola, il Luisengymnasium di Monaco. Letteralmente. Trasformò una classe in un set per tenere lezioni di cinema a un gruppo di ragazze di 13 e 14 anni. Lui ne aveva 35. Non era un corso teorico, ma pratico e, insieme al suo operatore, coinvolse quelle adolescenti nell’apprendere le basi di come usare una macchina da presa e nel fare, loro stesse, dei film. Portò delle cineprese Super8 amatoriali, le mise nelle loro mani perché filmassero, mettendo in pratica all’istante quanto imparato da un maestro speciale, empatico, ironico, che sapeva come destare attenzione e partecipazione. Inoltre, le studentesse tradussero quell’insegnamento in piccoli film girati fuori dalla scuola: per strada, in ambienti familiari, inventando storie o filmando passanti e situazioni reali. Quell’esperimento confluì in un film di Reitz, Filmstunde, che andò in onda sulla televisione tedesca il 22 febbraio 1969. Cinquant’anni dopo, e a dieci anni di distanza dal suo precedente film, il regista tedesco di Heimat è tornato, novantenne, a Filmstunde. Una delle ex allieve, passato l’iniziale timore reverenziale verso un uomo che intanto era diventato uno dei cineasti più affermati a livello internazionale, lo avvicinò, gli parlò. Fu il punto di partenza per concretizzare una riunione di classe, “convocare” quelle ragazze, ora quasi settantenni, per rievocare quell’esperienza. Ri-trovarsi per una foto di gruppo e, in una sala, dialogando con Reitz, ri-vedersi su uno schermo e esprimere pensieri, ricordi, curiosità di ciò che andò ben oltre le lezioni in sé, che fece prendere dimestichezza con un mezzo d’espressione e offrì alle giovani partecipanti un’occasione unica per formarsi e, attraverso il filmare, espandere e arricchire la visione del mondo in un’età di cruciale passaggio.

 

 

Questo è Filmstunde_23 (co-regia di Jörg Adolph). Il ritorno a un film, a chi vi partecipò, alla relazione che si instaurò, e che si re-instaura nel suo “seguito”, tra un regista e una classe. Tutto passa, nel film di allora e in quello di oggi, attraverso il cinema e i suoi meccanismi, il suo linguaggio e la sua sintassi (al pari della letteratura), da conoscere per poterlo poi usare in maniera soggettiva al fine di raccontare e raccontarsi. È questo che stava a cuore a Reitz negli anni Sessanta e gli sta ancora a cuore oggi. L’educazione alla prassi, il naturale passaggio dalle basi alla realizzazione, in un tutt’uno esemplare e entusiasmante. Reitz – come si vede in tante delle scene in classe inserite in Filmstunde_23 – spiegava e agiva, portava immediatamente all’atto pratico l’insegnamento e le studentesse imparavano ascoltando e filmando, mentre si instaurava con Reitz un dialogo stimolante sulla materia trattata. Ancora oggi, nel corso della ri-unione, il regista interroga e si interroga, parla o sta in silenzio, rivendicando sempre l’enorme portato dell’insegnamento e dell’educazione. Tutti i cineasti, tra un film fatto e un altro da fare che spesso prende tempo, dovrebbero entrare in una scuola e insegnare, è il pensiero di Edgar Reitz. Rivolto a quelle donne che lo ascoltano (a loro sono dedicati intensi primi piani, proprio come accadeva nel film del 1968), agli addetti ai lavori, agli spettatori. E se Filmstunde_23 si apre citando Béla Balász, si chiude con Reitz che, in quell’incontro che non ha nulla di nostalgico ma che ha creato una magnifica connessione spazio-temporale, dice quanto delle parole di Chris Marker gli siano rimaste in mente per anni: “Non posso immaginare come le persone ricordassero prima dell’invenzione del cinema”. Mentre parla scorrono i titoli di coda del primo Fimstunde, poi appariranno quelli di Filmstunde_23, con il set mostrato e, infine, Reitz che si allontana di spalle lungo un marciapiede con un’iride da cinema muto che chiude su di lui. Ultimo, semplice gesto d’amore per il cinema in un film, anzi due, che vivono proprio della semplicità e dell’immediatezza nel dire tante cose piene di significati.