Babylon Berlin – Il colore bruno della Germania

Nell’autunno del 1980 veniva mandata in onda sulla TV tedesca Berlin Alexanderplatz, serie televisiva diretta da Rainer Werner Fassbinder, che trasponeva, nei suoi 14 episodi, il romanzo di Alfred Doblin, nel quale, sullo sfondo della fine della Repubblica di Weimar, si dipanano le avventure di Franz Biberkopf, attraverso le quali lo scrittore descriveva le radicali mutazioni della Germania divisa tra la pesante sconfitta dopo la Prima Guerra Mondiale e il bisogno di ricostruzione del corpo sociale della nazione, che si traduceva anche in quel nuovo che le arti hanno saputo esprimere in quegli anni di libertà prima dell’avvento del Nazismo. A distanza di anni, Babylon Berlin, la serie ora disponibile on demand su Sky, ripropone, sotto altro genere, i temi di quel periodo, riconducendo lo sguardo a quegli anni di ascesa del partito nazionalsocialista e dello stato sociale dentro il quale quelle affermazioni crescevano e si facevano forti, occupando progressivamente i gangli del potere. Ma il lavoro televisivo riesce anche ad avere uno spettro più ampio e un orizzonte più esteso, sapendo raccontare, per tratti e schegge, il pensiero progressista che sotto l’egida delle arti si affermava. Oggi sappiamo che in quel brodo di coltura si è formata la migliore cultura tedesca che poi ha regalato i frutti al mondo intero, a quel mondo che aveva come primo principio da rispettare quello della libertà e della libertà dell’arte. Il primo approccio di Babylon Berlin è quello di un thriller con implicazioni psicologiche, nell’epoca in cui il lavoro sulla mente e sui suoi fantasmi muoveva i primi passi. Tre stagioni a segnare le vicende di Gereon Rath (Volker Bruch), commissario di polizia che da Colonia deve spostarsi a Berlino per indagare su alcuni personaggi influenti coinvolti in uno scandalo a sfondo sessuale; di Charlotte Ritt, detta Lotte (Liv Lisa Fries), che poco più che maggiorenne, di famiglia poverissima, convive con la sorella e il marito di questa, ubriacone e molestatore, e protegge da queste insidie la sorella più piccola, Tony. Lotte si guadagna da vivere prostituendosi occasionalmente in un bordello attiguo e segreto dentro al Caffè di moda in città, ma anche con assunzioni giornaliere in polizia per dattiloscrivere verbali e relazioni. Qui accidentalmente conoscerà Rath. Rath tornato dal fronte, cova in segreto il senso di colpa per la presunta morte del fratello in battaglia e per l’amore che prova nei confronti della cognata, lo affliggono disturbi psicologici post traumatici provocati dalla guerra. In uno dei drammatici momenti in cui si riacutizzano i sintomi, conoscerà Lotte. Da qui si snodano le tre stagioni fino ad ora viste in TV, preannunciandosi una quarta le cui riprese dovrebbero incominciare verso la fine dell’anno in corso.

 

 

Le atmosfere della produzione tedesca, ideata da Hendrik Handloegten, Tom Tykwer, Achim von Borries, scritta e diretta da Tom Tykwer, Achim von Borries ed Hendrik Handloegte, non sono troppo dissimili da quelle che si respiravano nella serie TV di Fassbinder. Mutano sicuramente le intenzioni e soprattutto le modalità d’approccio, maggiormente spettacolari perché di genere per Babylon Berlin e più introspettive per il lavoro di Fassbinder. Già dalla grafica dei titoli di testa e di coda Babylon Berlin ci fa assaporare il panorama culturale e cinematografico che si respirava nella Berlino nella metà degli anni ’20, quello che conosciamo come espressionismo tedesco, tra sommovimenti sociali, crisi economica, scontri politici alimentati da un avanzante partito comunista e un nascente partito nazionalsocialista. I fatti del 1° maggio 1929 saranno in qualche modo al centro della seconda stagione del lungo racconto ispirato ai romanzi di Volker Kutscher che hanno per protagonista il Commissario Rath. Partendo da questa premessa letteraria, non vi è dubbio che il profilo della serie assuma un altro aspetto e trovi un equilibrio tra la vicinanza ad una verità storica, avvalorata dal fatto che Kutscher era un giornalista, e le necessità narrative e spettacolari. In questo equilibrio, costantemente assunto a fondamento della scrittura, si sviluppa il racconto pieno di colpi di scena e di invenzioni narrative azzeccate.

 

 

È quindi in uno scenario che si definisce in quella dialettica che corre tra il vero e il falso, tra il dramma e il melodramma (ne troviamo molto di melodramma, diluito nelle tre stagioni) e all’interno di scenari dalle architetture in perfetto stile jugendstil, che trovano posto le avventure thriller del Commissario Rath e della sua spregiudicata Assistente di Polizia Lotte Ritt. Il racconto diventa così quasi necessariamente, riflessione sul periodo politico, sull’esperienza della Repubblica di Weimar. Un’epoca in cui, con una certa anticipazione sui tempi, quell’assetto politico nato dalla sconfitta della Prima Guerra Mondiale ha potuto assicurare il libertarismo, così inviso all’ascendente partito nazista, che segretamente, ma progressivamente e non molto silenziosamente, si dedicava ad occupare i posti di comando, gestendo, con molti errori, le avanguardie comuniste, che, dopo avere digerito e metabolizzato il pensiero marxista, costituivano una forza politica non solo non indifferente, ma soprattutto portatrice di istanze sociali che auspicavano la necessaria pace sociale. Berlino è la sintesi di questa condizione. La metropoli, lo spazio urbano, così fortemente caratterizzato dalle architetture, lo è anche dal suo cromatismo eternamente grigio, anzi bruno, che diventa il colore dominante che con tutte le sue tonalità e le sue saturazioni caratterizza anche le riprese, diventando, a sua volta sintesi della visione. In questo clima cresce e prolifera la piccola criminalità, ma il terreno è fertile soprattutto per la criminalità più organizzata con i primi tratti di un sodalizio mafioso che si alimenta di prostituzione e racket. Ripulire il denaro sporco sarà una necessità e anche l’investimento nella nuova industria del cinema è utile allo scopo. Il tema farà da sfondo alla terza stagione.

 

 

Berlino diventa così il centro di una specie di continua infamia tra nazismo in ascesa e tradimenti politici, un ambiente difficile e pericoloso dentro il quale si muove con spirito di giustizia il Commissario Rath, aiutato dallo straordinario e istintivo intuito della giovane e affascinante sua assistente. Lotte è forse il personaggio più interessante perché nel suo profilo si condensano la spregiudicatezza di chi deve arrangiarsi per vivere ad ogni costo e un innato candore che accompagna i suoi comportamenti. Tutto appare naturale e mai sopra le righe, segno di una precisa consapevolezza degli autori e una ottima capacità di dare volto al personaggio da parte della giovane Liv Lisa Fries. Una vera Babilonia come il titolo chiaramente ed esplicitamente suggerisce, una infernale condizione esistenziale dentro la quale l’instabilità politica ha favorito la rivoluzione annunciata, di cui in lontananza si sentivano gli echi minacciosi. È in questo processo in cui il parallelo tra storia e invenzione diventa felice commistione di elementi che Babylon Berlin si radica nell’attenzione dello spettatore. Accanto ad un quadro di instabilità politica ed economica, dentro il quale profittatori e speculatori traggono gli illeciti profitti, ricordando l’osservazione di Orson Welles in La ricotta, la Germania di quegli anni, della Repubblica di Weimar modello di democrazia avanzato per i tempi, è stato un Paese al centro delle novità culturali dei primi del ‘900.

 

 

L’architettura e le arti figurative, il pensiero filosofico e quello legato alla psicanalisi, la musica, il teatro, il cinema, la letteratura, hanno vissuto momenti di grande vivacità e in questo clima sono maturate singole individualità artistiche e movimenti culturali dallo Jugendstil al Bauhaus e artisti come Bertold Brecht, Thomas Mann, Alfred Döblin ed Erich Maria Remarque nella letteratura, Fritz Lang e Friedrich Wilhelm Murnau nel cinema, Paul Klee, Walter Gropius nella pittura e nell’architettura, tanto per fare qualche nome. Nella Berlino di quegli anni nasce anche il Cabaret, scenario e scenografia frequente per i personaggi della serie. Il Cabaret con la sua connotazione trasgressiva ha offerto indubbiamente un differente approccio all’immagine femminile e alle relazioni sessuali in genere, con uno sguardo diretto e non punitivo anche sull’omosessualità, d’altra parte il travestitismo si fece spettacolo caratteristico per quei locali. Il cinema non era da meno e con L’angelo azzurro ha consacrato non solo la figura femminile e d’attrice di Marlene Dietrich, ma quella trasgressione che ha costituito l’essenza. Tutto questo in Babylon Berlin resta in filigrana, diventa sfondo della storia, naturale terreno dentro il quale è maturata la libertà espressiva che ha connotato quell’epoca. Nuovi scenari e nuovi delitti si addensano all’orizzonte per il Commissario Gereon Rath e Lotte Ritt nella Babilonia di Berlino pronta al salto nel buio di un periodo oscuro dove tutto sta per cambiare e il cinema ancora una volta sa farsi interprete della mutazione.