Cinque album da portare nel 2019

Non è stato un anno memorabile per la musica, ma qualche disco che merita di essere portato nel nuovo anno c’è. La cinquina di chi scrive, in rigoroso ordine alfabetico e senza steccati di genere, è quella che segue. In apertura David Byrne  Mesa Arts American Utopia.

 

 

AMERICAN UTOPIA di David Byrne (Nonesuch)
Dopo quattordici anni, lo storico leader dei Talking Heads torna a pubblicare un disco solista. E lo concepisce come un album fotografico attraverso il quale fissa momenti dell’America contemporanea con il solito sguardo dissacrante e con intuizioni a non finire, in equilibrio perfetto tra ironia e sarcasmo. Un disco di bizzarra bellezza, comunque profondo, in cui il rock si ritaglia giusto qualche angolino, sovrastato da elettronica, wave, world music e pure da un’incontenibile voglia di melodia che chiamare pop sarebbe perfino riduttivo. La produzione di Brian Eno è magnifica.

 

 

A STAR IS BORN Soundtrack di Lady Gaga, Bradley Cooper (Interscope)
Pop, rock, un pizzico di country e ballate sentimentali che inducono alla lacrimuccia. Per il quarto remake di È nata una stella (non certo il peggiore), Lady Gaga ha costruito, con la complicità di un sorprendente Bradley Cooper, una colonna sonora perfetta per varietà e aderenza, la cui versione in commercio è parecchio penalizzata dal consueto, massiccio, inserimento dei dialoghi (alcuni senza dubbio funzionali, ma alla lunga stancano comunque). Se il film ha rivelato un’attrice in potenza, il disco conferisce spessore a un’artista versatile, troppo spesso trattata con sufficienza, che invece mostra chiaramente come sotto il trucco ci sia sostanza. Se ora volesse concedersi la gioia e la fatica di un tour mondiale, la 32enne Stefani Germanotta riempirebbe stadi ovunque.

 

 

DECADE di Calibro 35 (Record Kicks/Audioglobe)
Come una colonna sonora, caleidoscopio colmo di fascino e invenzioni, di citazioni, autocitazioni e sguardi sul futuro. Il sesto album in studio (in dieci anni di attività) dei Calibro 35 – Enrico Gabrielli, Luca Cavina, Massimo Martellotta e Luca Rondanini, con Tommaso Colliva dietro le quinte – è insieme compendio di quanto fatto in precedenza e scatto (lupesco) in avanti. Si conferma, evidente, l’amore per i commenti del cinema anni Settanta, per il poliziottesco e l’horror, per il western e il film di denuncia; ma tra le pieghe di una psichedelia che si fonde senza traumi con altri linguaggi musicali, fiorisce un disco di singolare suggestione, destinato a lasciare un segno (ci auguriamo) nell’asfittico panorama italiano.

 

 

SUMMERWIND di Lars Danielsson & Paolo Fresu (ACT/Egea Music)
Il violoncellista e contrabbassista svedese Lars Danielsson, il trombettista sardo Paolo Fresu: due giganti del jazz contemporaneo che dialogano in cerca di poesia, trovandone in abbondanza. Entrambi sono abituati a moltiplicare i progetti e in duo hanno una solida esperienza; ma in questo caso conta più l’afflato lirico che il mestiere, l’entusiasmo evidente della (reciproca) scoperta più della consuetudine. Tra standard eseguiti come se fossero nuovi di zecca (Autumn Leaves, Sleep Safe and Warm, una cantata di Bach) e brani poco noti riletti con eccezionale intuizione (la versione vagamente prog di Un vestido y un amor di Fito Páez), ne splendono altri composti per l’occasione da Fresu o da Danielsson, un paio anche insieme. Un piccolo gioiello.

 

 

THINGS HAVE CHANGED di Bettye Lavette (Verve)
Mentre Bob Dylan si cimenta da qualche tempo con il repertorio di autori e interpreti lontani anni luce dalle sue corde, una “sopravvissuta” come Bettye Lavette, cantante soul di Detroit arrivata al successo dopo i sessant’anni (ora ne ha settantadue), si prende la briga di volgere in r&b alcune gemme del menestrello di Duluth, mescolandole con pezzi decisamente minori dello stesso. Quel che ne deriva è un’opera compatta, in cui tutto splende alla stessa maniera, quindi con luce potente e persistente. Se resta vero, in linea generale, che ad affrontare Dylan si rischia di scottarsi (per l’empatia viscosa tra il songwriter e le sue canzoni), Lavette riesce a farle proprie stravolgendole (addirittura cambiando alcune parole), come nemmeno Bob in persona nei suoi live. La cantante ha probabilmente fatto di meglio in una carriera di risaputa irregolarità, ma questo non è certo un lavoro da trascurare.