Gus Van Sant fuori dagli schemi della moda – Ouverture of Something that Never Ended per Gucci

Una serie sui generis per una sfilata di moda “destrutturata”. Il regista di Elephant Gus Van Sant, che non smette di sperimentare le forme della rappresentazione, e il direttore creativo di Gucci Alessandro Michele, intenzionato a cambiare gli schemi, hanno, hanno unito idee e raffinatezze nella miniserie Ouverture of Something that Never Ended, sette episodi di dieci minuti ciascuno in cui si presentano le nuove creazioni della prestigiosa Maison. L’evento si è consumato al Gucci Fest lo scorso novembre e prosegue ora sui canali YouTube Gucci, Weibo e YouTube Fashion. Protagonista Silvia Calderoni, attrice, artista e performer filmata in un contesto al tempo stesso quotidiano e illusionistico, ripresa a casa e nella città (Roma) in situazioni di una normalità rivisitata, non solo per la presenza di celeb della moda, ma anche in virtù di uno sguardo abile nel costruire un mondo alternativo, sul limite tra passerella e realtà. E così, seguiamo la statuaria Silvia quando si sveglia con la sua tuta di pizzo nero in una casa fatta di stanze comunicanti e balconi assolati e verdeggianti, arredi vintage e visitatori che fanno capolino dal bagno o musicisti intenti a provare (Kim Gordon, Billie Eilish, Hector Berlioz). Silvia fa esercizi di yoga mentre dal televisore lo scrittore e filosofo spagnolo Paul B. Preciado parla della differenza dei sessi – “un’invenzione escogitata per massimizzare la riproduzione della specie umana” – e di manipolazione politica. Lo studioso di genere, sessualità e biopolitica si rivolge direttamente alla protagonista che, un po’ interdetta, spegne. Meglio i giovani in bicicletta che attraversano le stanze, meglio i loro baci, la leggerezza di un mattino estivo che serpeggia indolente.

 

 

Gus Van Sant sembra tornare ai colori e alla rarefazione del racconto di Last Days. I luoghi raccontano altre storie e si fanno essi stessi personaggi riflettenti. Al caffè (secondo episodio) gli incontri si fanno occasioni. Ci si osserva, osservati, consapevoli del fatto che ogni distinzione di genere è venuta meno, non necessaria alla bellezza né all’armonia. Luci soffuse, delicate, accarezzano corpi e “costumi”. Più tardi all’ufficio postale (terzo episodio) l’attenzione si sposta su scarpe e sentimenti. Accostamento quasi mitologico, in ogni caso vitale e ottimista dove si trovano francobolli con parole di poesia e mistero: “Volevo solo dirti che mi hai detto tutto non dicendo nulla”. Come a voler fantasticare di un mondo senza schemi, con regole dettate da una precisa, incessante e ribelle ricerca estetica. Achille Bonito Oliva e Harry coinvolti in una conversazione telefonica surreale, domande e risposte casuali, riflessioni che si perdono nell’aria. “Volevo dirti che stavo pensando alcune cose. Che viviamo in un’epoca un po’ nervosa, fatta di conflitti, di confronti, ma anche di coesistenza di differenze, di gioiose differenze. E questo nell’ambito della cultura lo si può vedere nei vari campi… Seppure restano le differenze, l’arte, la musica, la moda, il teatro, il cinema sono campi che conosci in cui l’atto creativo diventa centrale. (…) La moda veste l’umanità, l’arte la mette a nudo”. Ma le parole ci lanciano messaggi misteriosi, tra appunti e messaggi lasciati cadere in borse e tasche.

 

 

L’arte performativa dei corpi è protagonista dell’episodio a teatro, con l’attore Jeremy O. Harris, la coreografa Sasha Waltz e la compagnia di danza sul palcoscenico. Ma siamo pronti ad uscire di nuovo (quinto episodio), a guardare il microcosmo che si mostra tutt’intorno da balconi e finestre. Celebrità coinvolte in un voyerismo lirico e anacronistico che ben si addice ad una sfilata di moda, con modelli e presenze illustri pronti a sfilare con indifferenza, con abiti anch’essi anacronistici, perché senza tempo. La classicità arricchita di colori saturi e un’idea eccentrica che prevale su tutto. Gli ultimi due episodi sono un inno alla casa di moda e alla sua storia, tra il poetico negozio di abiti vintage e la passeggiata notturna tra le strade di una Roma incantata. È giunto il momento di svelare quel mistero, che si rincorre e si rinnova episodio dopo episodio. Le parole sono tratte da una canzone dei Tuxedomoon: “In a manner of speaking/I just want to say/That I could never forget the way/You told me everything/By saying nothing”. “Avevo pensato a una storia che non si legasse a un tempo o a un luogo specifico. E ho pensato di condividere con Gus questa idea, una gestazione continua, un divenire – spiega Alessandro Michele -. I vestiti, liberati dai luoghi della moda, si sono impastati al quotidiano. Il cinema, imitazione della vita, ha fatto in modo che vivessero: sono tornati indietro da dove vengono, dalla vita”.