Hardware di Billy F Gibbons: il suono del deserto

«That Little Ol Band from Texas», ovvero ZZ Top: Billy F Gibbons chitarra e voce, Dusty Hill basso e voce, Frank Beard batteria. Sono solo in tre ma suonano per dieci. In una delle prime puntate dei Soprano, Tony deve redimere a modo suo una controversia tra ebrei ortodossi, con barboni e ricciolini cascanti, e gli si rivolge così: «Hey ZZ Top!». Perché le lunghe barbe di Gibbons e Hill, peraltro non posticce, sono note a tutti, a essere sbarbato è invece il solo batterista che per ironia della sorte si chiama Beard. Gli ZZ Top hanno suonato rock blues di altissimo livello fino all’inizio degli anni 80, incidendo anche un capolavoro intitolato Tres Hombres (1973). Ma dopo un tour nel Regno Unito sono stati folgorati sulla via di MTV dai sintetizzatori e dai toni plasticosi di quegli anni e sono andati incontro a una deriva difficile da decifrare, anche, però, a un successo di pubblico pazzesco. In Italia sono poco conosciuti, superficialmente considerati come elementi folkloristici anche dalla stampa specializzata, mentre ormai da una ventina d’anni hanno tentato di tornare alle radici, e grazie al produttore Rick Rubin nel 2012 ci sono riusciti realizzando un album, La Futura, all’altezza di Tres Hombres. Vorrei parlarvi soprattutto di Billy F Gibbons, il trentaduesimo chitarrista più bravo della storia nella celebre Top 100 di Rolling Stone ma il sesto nella mia. Ha una carriera solista parallela a quella della band, non molto prolifica, solo tre dischi in 50 anni di attività, ma il terzo è appena stato rilasciato, si intitola Hardware e completa il discorso cominciato con il secondo, The Big Bad Blues (2018), premiato nel 2019 con il Blues Music Award. Se il precedente lavoro era tutto dedicato alla musica del diavolo, benché sempre suonato con il micidiale tiro texano, Hardware si permette una contaminazione maggiore con il rock e certe sonorità pop californiane.

 

 

È stato registrato a Palm Springs, vicino al deserto, dalle cui atmosfere lo stesso Gibbons si è detto sopraffatto in termini emotivi e soprattutto creativi. Non a caso il primo brano a essere diffuso è Desert High, un suggestivo talkin’ blues elettrico dove si cita Jim Morrison («The Lizard King is always by my side») e si è colti di sorpresa dai serpenti a sonagli e dagli ululati dei coyote. Questo è il motivo per cui mi premeva scrivere di Hardware: è un disco che cattura un immaginario western e lo racconta andando oltre la superficie, cogliendo le atmosfere sensuali di un mondo che è sì simbolico, ma il cui folklore è evitato dalla musica. Meno filologico di The Big Bad Blues, che resta il miglior contributo del chitarrista dai tempi gloriosi degli ZZ Top, ma se vogliamo più rischioso per quel suo volersi aprire a sonorità eterogenee, dal vortice chitarristico alla Dick Dale di West Coast Junkie al bottleneck di My Lucky Card, per citare due tra i pezzi più belli. Tra l’altro il video di West Coast Junkie o dell’ultima canzone rilasciata She’s On Fire, ricordando il binomio auto-ragazze delle clip storiche della band, con il ritorno del deserto, dimostra anche una certa audacia in quest’epoca di ipercorrettismo moralista. Billy F Gibbons può permetterselo perché ormai, dopo mezzo secolo di carriera, non ha più nulla da perdere mentre noi ancora molto da guadagnare.