Arno è figlio del suo tempo, un’epoca in cui le città sono cresciute come masse tumorali ingoiando poco a poco la civiltà umana nella sua interezza. O quasi. Poche migliaia di persone vivono ancora nei paesi di campagna, oramai tagliati fuori dal resto del mondo, senza acqua e senza energia elettrica. Trogloditi, secondo l’opinione pubblica, i custodi dell’ultimo avamposto di qualcosa che ancora si possa chiamare vita secondo un Arno prossimo al burn out, che non ne può più di un lavoro inutile e ripetitivo, di relazioni umane vuote di ogni sostanza e di una cultura fatta di edonismo da due lire. Quando la misura è colma, Arno lascia Roma e torna alle sue origini, i resti del borgo di Pieve Lunga, nel piacentino. Quando le radici, di Lino Aldani, ha visto diverse pubblicazioni nella propria storia editoriale. Dalla Casa Editrice la Tribuna, nel 1977, alla raccolta in più volumi dell’opera omnia dell’autore a opera di Elara, passando per un Urania Collezione. Audible, di recente, ha inserito nel suo catalogo di audiolibri alcune opere di Aldani: Ontalgie, La croce di ghiaccio e, per l’appunto Quando le radici. Nella speranza che la costola di Amazon continui la serie, gli ascoltatori possono godersi questo classico della fantascienza italiana. Il romanzo, uno dei migliori dello scrittore di San Cipriano Po, è un’opera densa e meditata.
Chi ancora sostiene l’inutile divisione tra cultura alta e cultura popolare potrebbe trovare Quando le radici un romanzo letterario, poco di genere. Volendo mondare un’affermazione del genere dalle bestialità da letterato della domenica si può effettivamente dire che la scrittura di Aldani è riflessiva e profonda, con un solido respiro filosofico portato avanti senza ostentazione o compiacimento. A voler leggere con attenzione Quando le radici quel che si trova è un romanzo nettamente anti retorico, una critica sia agli acritici entusiasmi modernisti sia alla nostalgia lagnosa che idealizza oltre misura il passato. Arno è una persona bruciata dallo stress, moralmente al lumicino che sviluppa un’ossessione sul filo del malsano per un modus vivendi destinato, nel bene e nel male, a estinguersi. Il suo idillio è quasi delirante soprattutto se messo a confronto con un villaggio morente in cui i vecchi si trascinano lubrificando i propri giorni e i propri struggimenti con il vino. Nessuno dei suoi contatti cittadini riesce a capire lo stato d’animo del protagonista e, per certi versi, anche i vecchi scalcagnati e ubriaconi di Pieve Lunga lo compatiscono per il suo ostinarsi a cercare la propria salvezza personale in un tempo che non c’è quasi più. Le radici sono uno stato mentale prima di tutto, ma uno stato mentale che finiamo per subire nella misura in cui esso non si adatta allo spirito dell’epoca in cui viviamo. E allora la soluzione è forse reciderle, le radici, per ritrovarle in uno stato di nomadismo che, almeno per un po’ terrà Arno lontano dalla massa tumorale delle città in crescita. E proprio come il suo protagonista, il romanzo è figlio del proprio tempo, di quegli anni in cui la fantascienza sociale faceva scintille, affondando in questo caso le proprie zanne in un rapporto struttura-sovrastruttura che richiama Marx nel criticare, di fatto, una modernità che in quegli anni iniziava a fagocitare tutto. Lino Aldani era un signore della letteratura, in grado di giocarsela con i pesi massimi nonostante non abbia mai raccolto i frutti che avrebbe meritato per il proprio lavoro.