Rory Gallagher: bussando ai cancelli del cielo

Rory Gallagher. Mi emoziona già il nome, figuratevi la chitarra. Purtroppo è morto a soli 47 anni nel 1995 per le conseguenze di un intervento al fegato andato male. L’alcol era stato per anni il suo peggior compagno di viaggio. Alla notizia del decesso le televisioni irlandesi hanno interrotto i programmi, ma anche la BBC gli ha reso omaggio. Era nato nel 1948 a Ballyshannon, in Donegal, cittadina che da 20 anni ospita il Rory Gallagher International Festival dedicato ai chitarristi rock e blues ). A Dublino, al Temple Bar, a pochi metri dalla statua di Molly Malone, c’è il Rory Gallagher Corner, a imperitura memoria. Per aiutare la quale ci sono undici dischi in studio, dal primo omonimo del 1971 all’ultimo, Fresh Evidence, del 1990, passando per Tattoo (1973) che ne decretò il successo internazionale e al quale fece seguito un tour in Irlanda immortalato in Irish Tour (1974). Rory amava il blues, anche quello roots e acustico di Robert Johnson, ma ha spaziato anche nel rock in varie sue declinazioni, soprattutto hard, e nel jazz. Dotato di una tecnica chitarrista prodigiosa e di una bella voce benché particolare, un po’ smorzata, fu veramente uno dei migliori musicisti della sua epoca. Anche una presenza “politica” la sua. Negli anni dei Troubles era il solo che riuscisse a suonare a Belfast senza che la festa si tramutasse nel Vietnam. Lo amavano e rispettavano tutti, repubblicani e lealisti, cattolici e protestanti.

 

 

Ora è finalmente disponibile Rory Gallagher: All Around Man – Live in London pubblicato in triplo vinile e doppio CD per un totale di 23 brani. Perché finalmente? Perché si tratta della registrazione dei due concerti tenuti il 28 e il 29 dicembre 1990 al Town & Country Club di Kentish Town, Londra, divenuti leggendari tra i fan per la loro qualità ma dei quali non circolavano registrazioni, per lo meno non pubbliche. Masterizzato agli Abbey Road Studios, All Around Man è un live straordinario per resa sonora, esecuzione e alchimia tra i musicisti, ovvero il braccio destro Gerry McAvoy (basso, con lui da sempre: fa un assolo nei bis che stende), Brendan O’Neill alla batteria, Mark Feltham all’armonica e Geraint Watkins al piano e all’hammond. La set list poi è semplicemente assassina. Dopo la parentesi più sperimentale degli anni 80, con Fresh Evidence Rory era tornato al lavoro filologico sul blues, senza rinunciare al sapore rock’n’roll che lo contraddistingue ma attentissimo nel restituire l’autenticità musicale di Robert Johnson e qui, nello specifico, di Eddie “Son” House. Del quale recupera un vecchio brano, Empire State Express, che chiude il primo CD del live; lo riadatta con una energia e un pathos stupefacenti.

 

 

Il lavoro del combo sembra quello di non creare soluzioni di continuità tra i brani antichi, Tattoo’d Lady ad esempio, gli standard come Walkin Blues di Johnson o Don’t Start Me Talkin’ di Sonny Boy Williamson, e i pezzi nuovi tra i quali, magnifici, The King of Zydeco dedicata a Clifton Chenier e Ghost Blues, la più travolgente dell’intero lavoro, a chiudere i set prima dei bis. Che sono comunque Messin’ With the Kid di Junior Wells, Keep a Knockin’ di Little Richard e il traditional Bullfrog Blues, oltre al brano che dà il titolo al disco, All Around Man di Bo Carter, l’autore di Corinne, Corinna. Tutte rifatte à là Rory, come fossero roba sua. E occhio ai testi. Purtroppo ai non anglofoni sono aspetti che rischiano di , e comunque tutti restano inevitabilmente, magicamente rapiti dal suo stile musicale prima che dalle liriche, ma il ragazzo aveva dentro una malinconia evidente in certe composizioni come Middle Name («Sorrow is my middle name») o Heaven’s Gate, i cancelli del cielo manco a farlo apposta, da Fresh Evidence, storia di un disperato che si ritrova a pezzi in una camera a fare i conti con un destino segnato, nella consapevolezza che arrivati al fatidico cancello sarà dura riuscire a corrompere San Pietro.