Springsteen, No Nukes, il suono del futuro

Gli appassionati di Bruce Springsteen si dividono in due categorie. Quelli critici rispetto al finale (si fa per dire) di carriera, che se ne dicono delusi ormai da tempo per i motivi più diversi e continuano a rimpiangere il passato, e quelli invece consapevoli dei mutamenti dovuti alla differente stagione della vita. Appartenendo al secondo gruppo, oggi preferisco ascoltare Western Stars piuttosto che Born to Run proprio perché interessato al mutamento e non alla ricerca dell’identico. Sogno un concerto della E-Street Band con una scaletta di brani del solo nuovo millennio, da The Rising in qua. Anche perché, diciamolo, ascoltare dal vivo Badlands oggi, e poi risentirla così come veniva eseguita nel 1979, è impietoso. Il 21 e 22 settembre di quell’anno, Springsteen & Band suonarono al Madison Square Garden in quell’evento passato alla storia con il nome di No Nukes, organizzato dai Musicians United for Safe Energy dopo l’incidente di Three Mile Island, il più grave accaduto negli Stati Uniti in ambito atomico. Oggi un disco e un video con una sintesi dei due concerti di 90 minuti l’uno, la set list perfetta, restituiscono un artista in assoluto stato di grazia, quasi irreale, circondato da musicisti all’apogeo.

 

 

The Legendary 1979 No Nukes Concerts, questo il titolo del cofanetto in varie versioni (vinili o cd, dvd o blu-ray), vede dietro le quinte il gruppo di collaboratori storici di Bruce – il regista Thom Zimny in veste di produttore e montatore, il mitico Bob Clearmountain al mixer, Jon Landau e Barbara Carr alla produzione – al lavoro su un materiale filmato all’epoca dal cineoperatore Haskell Wexler al quale si deve il primo elemento di qualità dell’opera. La “grana”, ovvero la fattura da filmato d’epoca quindi sgranata e con qualche fuori fuoco non calcolato, eppure di buon gusto per quanto riguarda la scelta delle inquadrature, credo basate sulla posizione di tre macchine da presa. Nulla a che vedere con la patinata perfezione dei sistemi digitali di oggi, ma è il suo bello. Sul palco Springsteen, a poche ore di distanza dai trent’anni (li festeggia lì con la torta che gli ha fatto la mamma di Stevie Van Zandt, ancora presentato come Miami Steve Van Zandt), rivela tutta la rabbia, la gioia, l’epica dei suoi vent’anni, quando scriveva cose come Rosalita (Come Out Tonight) brano intorno al quale ruotavano gli show di allora, o la stupefacente Jungleland, forse la sua “storia” più bella. Il concerto è lì da vedere/sentire, per alcuni è addirittura la migliore performance immortalata del nostro, anzi dei nostri, perché a essere in grande forma sono tutti: da Roy Bittan il professore al piano al mitico Max Weinberg alla batteria, dal metronomo Garry Tallent al basso al fantasmatico Danny Federici all’organo, da Stevie al Big Man travolgente Clarence Clemons.

 

 

Un concerto come questo, 14 tracce fulminanti, si commenta francamente da solo. Mi interessa incastonarlo nel suo tempo e nella storia di Bruce. L’estate del 1979 per New York è di clamoroso fermento. L’onda lunga del punk (nato qui, non a Londra) non si è ancora esaurita ma domina la disco music, il West Village è la capitale del mondo artistico e musicale. Qui, ricorda il produttore Jon Kilik nelle note di copertina, William Friedkin negli stessi giorni girava Cruising e c’era il delirio, John Cassavetes Gloria, Brian De Palma Vestito per uccidere mentre Scorsese e De Niro provavano in Columbus Avenue quel che sarebbe stato il capolavoro di entrambi, Toro scatenato. Per strada, sui muri, le opere di Haring e Basquiat, nei locali musicisti di ogni estrazione musicale. È il contesto che avvolge Bruce & Band mentre registrano al Power Station in Hell’s Kitchen le sessions di The River. Le due serate al Madison sono le prime esibizioni dal vivo di quell’anno, e sono le prime in assoluto dove vengono suonate Sherry Darling e la title track The River con ancora il testo da limare. No Nukes è certamente una festa di rock’n’roll, la matrice probabilmente dei lunghi tour successivi. Ma è anche, non dimentichiamolo, il primo momento “politico” di Springsteen. Per The River aveva non a caso scritto Roulette brano potente, drammatico, ambientalista e «no nuke» che poi deciderà di non inserire nel doppio disco. Ma era cominciato un cambio di passo che nei tre decenni successivi avrebbe costituito una costante. La politica, quindi: il big picture, non più soltanto la voglia del ventenne di scrollarsi di dosso il destino operaio del New Jersey, non più soltanto le vite che non sono la sua ma potrebbero dei personaggi di quegli anni, o l’intimo post adolescenziale delle storie d’amore, sesso e fuga, ma appunto la coscienza sociale e l’orizzonte degli eventi. Lo show proposto da questo stupendo cofanetto è uno spartiacque tra giovinezza e maturità, il futuro non era ancora scritto ma oggi sappiamo quanto sarebbe stato grandioso.