Su Netflix, Il caos dopo di te e le spine di un racconto che rischia di appassire

Non il caldo e i colori asciutti della Mancia o della Andalusia, piuttosto il freddo e le tonalità fosche dell’umida Galizia, terra di confine dal sapore antico che fa dell’asprezza il suo fascino, ispirata com’è dalla forza dei suoi boschi e dall’incessante soffio oceanico che la inebria, rivitalizzandone pascoli e colline. È la Galizia acquatica e dolce, selvatica e respingente di Mare dentro (2004) di Alejandro Amenábar, di Julieta (2016) di Pedro Almodóvar o di O que arde (2019), di Oliver Laxe, autore capace di tradurre amorevolmente le attitudini geografiche di questi luoghi attraverso i volti rugosi e battaglieri dei suoi abitanti. Qui si svolge la vicenda di Il caos dopo di te, racconto seriale in 8 episodi creato da Carlos Montero, tratto dall’omonimo romanzo scritto dallo stesso Montero e distribuito da Netflix. La protagonista è Raquel (Imma Cuesta), insegnante di letteratura decisa a trasferirsi col marito Germán (Tamar Novas) nel piccolo paesino di Novariz, località fittizia collocata nella zona di Ourense in prossimità della realistica Celanova (luogo originario di Montero) con la volontà di recuperare il suo matrimonio al centro di una fase complicata e dimenticare il recente decesso della madre, causa di un profondo e doloroso trauma. L’euforia delle novità traina il cambiamento di Raquel proiettandola in un nuovo mondo, immergendola in una nuova avventura professionale come supplente presso l’Istituto Novariz e di conseguenza alle soglie di una nuova vita ma ignara del fatto che Viruca (Barbara Lennie), la collega che ha occupato la cattedra prima di lei, è stata ritrovata morta nelle acque del fiume Avia per un presunto suicidio. 

 

 

In questa mini-serie spagnola, avvicinabile a Elite per diverse ragioni (vuoi soltanto per la presenza dell’attore Arón Piper o per la firma di Montero), si trova un giallo (politico? erotico?) con risvolti melò ma anche un thriller psicologico che abbraccia i codici dello school-drama. Qui il racconto è strutturato su due binari temporali distinti, volti a svelare le vicende di due donne apparentemente diverse (Viruca è nel passato, Raquel nel presente), e a condurre lo spettatore di fronte ad acque torbide dalle quali emergono intrighi pericolosi, corruzione e scomode verità. Mescolando temi e generi la serie mira a tratteggiare il profilo di due donne disorientate al centro di un ipotetico dialogo che le vede impegnate a ridefinire la propria identità. Viruca appare come una femme fatale energica, sensuale, cinica e razionale, consapevole del suo fare manipolatorio si scoprirà vulnerabile, vittima della propria ambiguità; Raquel, ingenua ma determinata, nervosa e impulsiva, accusando una sofferenza irrisolta che è specchio di una frustrazione causata dalla complicata vita coniugale, si scoprirà oppressa e perseguitata da ingombranti fantasmi (la madre defunta e, appunto, Viruca).  L’intenzione di Montero (che dirige anche alcuni episodi) è chiara fin da subito: entrare nelle pieghe dei drammi personali delle due donne per raccontare, in modo più ampio, il crollo di un mondo giunto al capolinea. I due binari distinti arriveranno a convergere e, in questo senso, Il caos dopo di te si trasforma in una serie sulla crisi del reale (come dichiara la stessa Raquel quando nel finale ammetterà di fare fatica a distinguere verità e finzione), elemento declinato attraverso lo spettro relazionale, morale, economico e culturale e in cui il matrimonio di Raquel e Germán si mostra come lo scenario più simbolico, ingombrato com’è da menzogne e tradimenti. 

 

 

Seppur inizialmente ammaliato da un ritmo incalzante, una messa in scena scrupolosa e scandita da primi piani e movimenti di macchina eleganti, indicativi di uno stato d’animo irrequieto e di una latente angoscia che in modo efficace aiuta a comprendere la condizione delle protagoniste, alla lunga lo spettatore è costretto a fare i conti con un apparato retorico reiterato e stantio che finisce per stordirlo perché trattenuto dalla sua ambiguità, dall’eccesso di stilizzazione, dall’aggrovigliarsi denso di temi e provocazioni talvolta irrisolte e gratuite. La soluzione non segue mai la strada della sottrazione e del non detto e la scrittura sente quasi l’urgenza di offrire spiegazioni convincenti soprattutto nella fase decisiva del racconto in cui si attende una svolta che fatica ad arrivare e quando arriva non riesce a sorprendere. L’impressione è che le questioni più complesse (e per noi, più interessanti) come la sofferenza della malattia, gli effetti della crisi economica, le derive morali della corruzione politica o lo scarto tra realtà periferica e dimensione urbana abbiano subito un ridimensionato che avrebbe meritato altra considerazione e rappresentazione. Ma saremmo qui a scrivere di un’altra cosa. Alla fine Raquel riparte dalle sue radici, non le resta altra verità che il passato. Ci sarà una seconda stagione? I presupposti sono tutti in una telefonata.