
L’aeroporto di Haneda
Sono appena arrivato in Giappone e ho già imparato una parola nuova: ueitpliss. Le quattro ore trascorse allo scalo di Haneda – ma a più di un collega nei giorni scorsi era andata anche peggio – sono infatti state scandite dal ripetersi di questo invito con il quale i funzionari, i medici, i volontari replicavano con il tradizionale garbo dei nipponici all’altrettanto prevedibile brontolio degli europei, sbarcati oggi a frotte e fatti immediatamente prigionieri dai controlli (delle app, dell’esito dei tamponi effettuati prima di partire, degli accrediti stampa, dei fogli compilati durante il volo, dei passaporti…) che hanno contraddistinto le operazioni di sbarco, che non mi sento proprio di definire formalità. Senza dimenticare i test salivari che, al momento in cui scrivo queste poche righe, risultavano tutti negativi. Soffermarsi sulla cortesia dei giapponesi in condizioni normali sarebbe quantomeno banale, ma la pandemia che anche qui riprende vigore e un’opinione pubblica largamente favorevole alla cancellazione delle Olimpiadi legittimavano il dubbio di un’accoglienza freddina. Niente di più lontano da quanto accaduto oggi e non solo all’aeroporto: i sorrisi, gli inchini e le espressioni di benvenuto (che pure in questo caso nulla avevano a che vedere con la formalità…) ci hanno accompagnati anche sulle navette messe a disposizione dall’organizzazione, così come i taxi (neri, stile Londra di metà Novecento, anche nella carrozzeria: curioso) che in un secondo tempo ci hanno condotto negli alberghi. (In apertura un’immagine di Casa Italia).

Il presidente del CONI Giovanni Malagò
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