Midnight in Paris 2024 – La forma (azzurra) dell’acqua

Gli azzurri? In forma nell’acqua (libero adattamento de La forma dell’acqua, Guillermo del Toro, 2017, Leone d’oro a Venezia e vincitore di quattro Oscar). In tutte le acque: quelle tranquille, fin troppo basse dell’Aquatics Centre, dove Martinenghi e Ceccon hanno conquistato i primi due ori della spedizione; quelle turbolente del Vaires-sur-Marne Nautical Stadium, magistralmente domate da Giovanni De Gennaro che ha messo in fila tutti gli avversari nel K1 slalom; quelle profonde del Mediterraneo al largo di Marsiglia, teatro dei successi prima di Marta Maggetti e quindi del Nacra 17 di Banti e Tita: quelle limacciose della Senna, dove nella mattinata di venerdì Ginevra Taddeucci ha conquistato il bronzo nella 10 chilometri. Poco meno di due ore di gara, in una cornice festosa di pubblico assiepato lungo le rive di quella Senna che, da ormai due settimane, si sta suo malgrado guadagnando almeno un articolo al giorno sui quotidiani di tutto il mondo, con quelli italiani a distinguersi per costanza e indignazione. Un fiume di polemiche che ha risparmiato i lettori di Midnight in Paris – immagino si saranno abbeverati (…) altrove – per una semplice ragione. Il problema si era posto da tempo, ovvero da quando gli organizzatori avevano comunicato di aver scelto la Senna per le gare in acque libere e la frazione iniziale del triathlon, superando in temerarietà gli inglesi che nel 2012 avevano optato per la Serpentine di Hyde Park. Per me un’autentica follia (ma non faccio testo: sono talmente schizzinoso da non entrare in acqua da anni, anche in mari – apparentemente – cristallini), visto che cosa finisce nei corsi d’acqua delle città. Ma una volta detto e scritto a suo tempo che la Senna è inquinata e i francesi non avrebbero dovuto mettere a repentaglio la salute degli atleti, non colgo il senso di ripeterlo tutti i giorni. O qualcuno si attendeva che magicamente le acque assumessero le caratteristiche proprie di un laghetto alpino? La domanda sorge spontanea (Antonio Lubrano, Mi manda Lubrano, Raitre 1989-1996): non è che sia più facile alimentare polemiche anziché raccontare avvenimenti sportivi, per illustrare adeguatamente i quali serve una specifica competenza, quando per agitare le acque (…) è sufficiente frequentare i bar oppure il web (per analogie e differenze tra i due ambiti vi rimando a Umberto Eco, La bustina di Minerva). In apertura Tita-Banti oro nel Nacra 17.

 

Il pacifico assalto mattutino allo stadio dell’atletica

 

Passo la mattinata allo Stade de France, al solito gremito in ogni ordine di posti, attirato soprattutto dalle staffette veloci. L’Italia campione olimpica uscente regala un brivido, chiudendo al quinto posto, complice un cambio schiacciato tra Jacobs e Desalu, con il gardesano costretto a frenare, nella prima semifinale (passano direttamente le prime tre, più i migliori due tempi); la seconda è però ben più lenta e gli azzurri vengono ripescati. Nel dettaglio Melluzzo, Jacobs, Desalu e Tortu corrono in 38’’07 (per arrivare a Parigi avevano fatto 37’’82), preceduti da Stati Uniti (37’’47), Sudafrica (37’’94), Gran Bretagna (38’’04) e Giappone (38’’06), mentre la Cina, che si assicura la seconda semifinale, chiude in 38’’24, davanti a Francia e Canada. Deludente la gara femminile: settimo posto per Dosso, Kaddari, Siragusa, de Masi con un 43’’03 lontano dal 42’’60 con il quale si erano qualificate e che, se ripetuto, le avrebbe portate in finale. Infine Simone Barontini vince con autorevolezza (1’45’’56) il recupero degli 800 e raggiunge in semifinale Tecuceanu: li rivedremo entrambi in pista oggi. Un salto a casa per mangiare il panino caldo comprato nella boulangerie (de quartier, sottolinea l’insegna, mica una qualsiasi) che purtroppo – mi informano – da domani sarà chiusa per ferie. Mi consolano l’ufficialità dell’oro nel Nacra 17 (agli olimpionici di Tokyo Tita e Banti sarebbe bastato un settimo posto, ma sono arrivati secondi) e la bella notizia dell’argento di Gabriele Casadei e Carlo Tacchini nella canoa C2 500 (sempre di acqua stiamo parlando) con un rush finale che avrebbe tolto la voce a Giampiero Galeazzi (1946-2021).

 

 

Ed eccoci al momento di scegliere l’abbigliamento per sopravvivere alle semifinali del basket nel congelatore di Bercy. Decido per pantaloni lunghi, maglietta della salute, polo e felpona del mio liceo, inizialmente riposta nello zaino. Una pinta nel bar di fronte alla fermata Bonsergent della linea 5 (tecnicamente un panino una birra e poi… e poi basta, a differenza di Vendo casa, Mogol e Battisti per i Dik Dik, 1971) e via verso nuove avventure (Carlo Pistarino, Drive in, Italia 1, 1983-87: il livello delle citazioni sta precipitando). Sono le 16, un’ora e mezza prima della palla a due di Germania-Francia, la coda all’ingresso stampa è impressionante, ma non è quello il problema. Mi si avvicina una cortese signora dell’organizzazione e mi chiede se ho il biglietto: l’evento (come dicono ormai tutti: per me l’evento resta Neil Armstrong che passeggia sulla luna, ma so che è una battaglia persa, adesso ogni sagra paesana è assurta a evento) è diventato di quelli che richiedono il famigerato sticker, che si ottiene previa biglietto elettronico fornito dal comitato olimpico. Non lo sapevo, non era previsto, ne sono sprovvisto. Sorrido alla sciura (signora per i non lombardi) e sono tentato di avviarmi verso l’Arena Sud – tra quelli che ho visitato, l’impianto dove più si respira l’aria olimpica – per vedere le semifinali del volley femminile, poi prevale l’amore per l’atletica, secondo solo a quello per il basket, e volgo la prua a nord. Non ho voglia, il tempo ci sarebbe anche, di passare da casa a cambiarmi e mi rassegno a diventare l’unico maschio presente allo Stade de France con i pantaloni lunghi. Il fatto è che il bell’appartamento di rue Chateaux d’Eaux si trova al quinto piano e non ha l’ascensore. Sono 99 scalini, li ho contati già la prima volta, fa parte dei miei tratti autistici. Con l’ottimismo di chi ha 25 anni di meno, il mio coinquilino in quella occasione vaticinò che dopo pochi giorni non ci avremmo fatto neanche caso. Lui, forse. Io arrivo in cima nelle condizioni di quelli che andavano a trovare Robert Redford e Jane Fonda in A piedi nudi nel parco (Gene Saks, da una commedia teatrale di Neil Simon, 1967: ci stiamo tirando su). Adesso, mentre scrivo a fine serata, so che mi sarebbe andata bene comunque e dovunque. Qui ho assistito a finali di buon livello tecnico, compresa quella che ci interessava più da vicino, il lungo femminile che ha visto quattro saltatrici contendersi le medaglie e le altre a fare da comprimarie. Larissa Iapichino è stata protagonista di una gara regolare, non riuscendo però a migliorare il 6.87 del secondo salto, insufficiente per salire sul podio, sul gradino più alto del quale troviamo la statunitense Davis-Woodhall (7.10), davanti alla campionessa uscente, la tedesca Mihambo (6.98) e l’altra americana Moore (6.96).

 

I volontari a Saint Denis

 

L’Italia del volley è volata in finale grazie al perentorio 3-0 sulla Turchia, lo stesso punteggio della prima fase: sabato affronterà gli Stati Uniti che hanno piegato al tie break la Cina. Le semifinali di basket non hanno tradito le attese: equilibrata la prima, conclusa con il successo della Francia per 73-69; spettacolare la seconda nella quale gli USA hanno a lungo inseguito (42-54 all’intervallo, addirittura 63-76 in avvio di ultimo parziale) prima di imporsi sulla Serbia con un risicato 95-91, trovando il primo vantaggio a 2’13’’ dalla sirena grazie al nono canestro da tre punti (su 14 tentativi!) di Curry, top scorer della serata con 36 punti, compresi i due liberi che hanno messo fine alla contesa quando mancavano 8’’ al termine. Tripla doppia invece per LeBron James (16 punti, 12 rimbalzi, 10 assist). I serbi hanno prevalso nei primi tre parziali – (di)mostrando che il basket europeo, ovvero difesa e tiri ben selezionati, può competere con le iniziative personali delle talentuose ma svagate stelle della NBA -salvo poi crollare nell’ultimo, nel quale gli Stati Uniti hanno piazzato un micidiale 32-15. Nella gara di qualificazione di ginnastica ritmica individuale – ospitata dall’Arena porte de la Chapelle – che ha promosso le prime dieci alla finale, il miglior punteggio è stato ottenuto dalla ventenne Sofia Raffaelli (139.100), davanti alla tedesca Varfolomeev (136.850) e alla bulgara Kaleyn (136.450). La marchigiana di Chiaravalle, che nel 2022 a Sofia divenne la prima e finora unica italiana a conquistare il titolo mondiale nell’All Around (l’equivalente di Vanessa Ferrari per l’artistica, ma non so se l’accostamento alle Farfalle lusinghi la Farfalla, visto il precedente del 2012…) tornerà in pedana venerdi alle 14.30, unitamente all’altra azzurra Baldassarri, qualificatasi con il nono punteggio (129.250).

 

 

 

E veniamo al resto della serata allo Stade de France, dove in apertura è caduto il record italiano più vecchio al femminile, il 3’58’’65 di Gabriella Dario nei 1.500, che resisteva dal 1982: il merito è di Sintayeuh Vissa che nella seconda semifinale ha corso in 3’58’’11, peraltro non sufficiente per passare il turno. Sempre tra le donne, spicca il record del mondo dei 400 ostacoli, 50’’37 di Sydney McLaughlin-Levrone, già oro a Tokyo, che nei recenti Trials di Eugene era scesa a 50’’65. Venticinque anni compiuti mercoledì, la ragazza del New Yersey, la prima a scendere sotto i 52’’ e poi sotto i 51’’, sembra destinata ad abbattere anche il muro più significativo, quello dei 50’’, probabilmente attaccato già in questa occasione, visto che è partita come un razzo e ha fatto gara a sé. Strepitosa la vittoria nei 200 metri di Letsile Tebogo (Botswana: parlavamo nel precedente articolo degli emergenti africani) che con 19’’46 non solo ha messo in fila i tre statunitensi, ma ha ottenuto il quinto miglior tempo di sempre, alle spalle del record mondiale di Bolt di 19’’19, del 19’’26 dell’altro giamaicano Blake, del 19’’31 del grande battuto di ieri Lyles e del leggendario Michael Johnson, 19’’32 nella finale di Atlanta. Il vincitore dei 100, alla ricerca della doppietta, non ha saputo far meglio di 19’’70, venendo preceduto anche da Bednarek. In zona mista Lyles ha però confessato di essere risultato positivo al Covid in un test fatto in mattinata, ma di aver voluto ugualmente correre: “Non sono mai stato così orgoglioso di me” ha commentato. L’atleta, che soffre da sempre d’asma, dopo la gara aveva accusato uno svenimento mentre lasciava la pista su una sedia a rotelle. Di altissimo livello anche la gara del giavellotto, vinta dal pakistano Nadeem con il nuovo primato olimpico di 92.97. Alle sue spalle l’indonesiano Chopra (89.45) e il portacolori di Grenada Anderson Peters con 88.54. Nella gara di chiusura della serata, lo statunitense Holloway ha dominato per 90 metri i 110 ostacoli, disunendosi nel finale così da chiudere in 12’’99 e venire avvicinato dal connazionale Roberts e dal giamaicano Broadbell, classificatisi nell’ordine con lo stesso 13’’09. Un tempo alla portata del nostro Simonelli, campione europeo due mesi fa in 13’’05. A Fra’ datte pace! Non è così facile…