
Anche, ma non solo, Tsai Ming-liang e Hou Hsiao-hsien. Accanto a due delle figure cardine del cinema taiwanese contemporaneo ecco altri nomi (Tsai Tsung-lung, Laha Mebow, Chiang Wei Liang, Hsiao Ya-chuan, Yeo Siew Hua), a volte esordienti, che stanno contribuendo a ri-definire il cinema dell’isola asiatica sia nella forma sia nelle tematiche affrontate. A esso il Bolzano Film Festival Bozen ha dedicato il focus di questa edizione chiedendosi: “Cosa significa essere taiwanese”? Perché la manifestazione altoatesina ha sempre indagato le minoranze culturali, linguistiche, territoriali – nei due anni precedenti aveva portato in primo piano le produzioni di Galizia e Brasile. Questioni di (incroci di) identità, spesso a partire dalla provenienza dei cineasti: Tsai Ming-liang è malese, Yeo Siew Hua e Chiang Wei Liang sono singaporegni. I sette film scelti (Millennium Mambo, capolavoro ipnotico per immagini e musica realizzato nel 2001 da Hou Hsiao-Hsien faceva parte della proiezione speciale intitolata “Carte blanche L’immagine ritrovata”) hanno coperto un arco temporale compreso fra il 2003 e il 2024. Film recenti, se si esclude la presenza di Goodbye, Dragon Inn, una delle vette dell’opera di Tsai Ming-liang risalente al 2003, omaggio alla sala cinematografica come luogo non solo di visioni, ma di incontri, vita, esperienze, spazio dove stare seduti o aggirarsi, spazio di carne e odori reso magistralmente da Tsai che inoltre omaggiava un classico del cinema asiatico come Dragon Inn (1867) del cinese King Hu, morto a Taipei, e di produzione Taiwan-Hong Kong. (In apertura una immagine tratta da Gaga di Laha Mebow).

Capita così che il più recente cinema di Taiwan si soffermi a parlare di immigrazione (tema ben presente in un Paese segnato nella storia dalle migrazioni), ma con lo sguardo innovativo suggerito da Chiang Wei Liang nel suo primo lungometraggio Mongrel (2024). Girato in 4:3 in una regione dell’interno taiwanese, piovosa e nebbiosa, nella quale una comunità di lavoratori clandestini giunti da Vietnam, Filippine, Indonesia, Thailandia vive in un dormitorio ed è al soldo di un trafficante (a sua volta sopraffatto da un boss che incontra nel retro di una discoteca in puro stile gangster) che fa fare loro lavori in nero e loschi, Mongrel ha per protagonista una di queste persone senza diritti, Oom, che non può sottrarsi a quelle regole, ma che parallelamente aiuta una donna anziana e malata e con un figlio gravemente disabile, fino a un gesto estremo. Si parla di malattia, aiuto al morire, morte, privazione della libertà in un film (che ha tra i produttori esecutivi Hou Hsiao-hsien) abitato soprattutto da scene buie, lievemente illuminate, a indicare lo stato di soffocamento che pervade i personaggi e le loro quotidianità. Un film fatto di lunghe scene e inquadrature, quasi sempre fisse, con la musica ridotta al minimo. Uno stile necessario, avvolgente, al tempo stesso fisico e astratto. Nitida poetica di un autore da seguire con attenzione.

Di tutt’altro segno è Gaga (2022) firmato da Laha Mebow, ovvero la prima cineasta indigena di Taiwan, appartenente all’antico popolo Atayal. Alla sua gente Below – anche sceneggiatrice e produttrice televisiva – ha dedicato una trilogia composta da Finding Sayun (2011), Lakah Laqi (2016) e Gaga. La parola “gaga” nella lingua atayal fa riferimento alle istruzioni ancestrali seguite da quelle persone e il film si concentra su una comunità contadina e su una famiglia che vive in una zona di montagna: anziani e giovani, tradizioni e cellulari, feste e litigi per pezzi di terra, l’uccisione dei maiali e la campagna elettorale perché uno di loro si candida a sindaco. Tre generazioni sono rappresentate fra radici e desideri di andarsene, fra dramma e umorismo all’interno di un film corale, dalla composizione figurativa accurata, dove una base documentaria affiora dall’impianto narrativo e dai personaggi descritti, e che ha nel rendere visibile una parte di Taiwan poco nota il suo maggior pregio.