L’inviato in pantofole e la rottamazione dei big che fa tanto Capodanno con lancio di piatti dalle finestre

Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista, diceva a ragione Caparezza; ma la quarta serata di Sanremo, in quella di un cronista, è un’impresa parimenti titanica. E se lo dico io che l’ho trascorsa placidamente avviluppato nell’ormai celebre (perlomeno su queste colonne) plaid scozzese del mio divanetto [dopo aver passato l’intera giornata ormai dipendente dai salvifici Erdnuss Flips -vedi pezzi precedenti- con Radio Italia a volume da live dei Manowar e televisore sempre acceso ma fisso su MUTE], immagino l’ordalìa di quei poveri cristi in sala stampa da cento ore, oltretutto impossibilitati a fare in pubblico ciò che uomini e donne abbandonati alla loro intima ordinarietà fanno senza remore o inibizioni protetti dai muri di casa loro.

 

 

Ed è un’impresa fondamentalmente perché, da che la struttura del palinsesto sanremese è spalmata a questa maniera, la quarta puntata esiste per due soli (seppur fondamentali) motivi: proclamare il vincitore della sezione Nuove Proposte e scremare quella dei Campioni in vista della finale. Ma il problema è questo: se per lo spettatore occasionale (che stando agli ascolti NON ESISTE), potrebbe essere quella più interessante (un colpo d’occhio abbastanza completo sulla gara, al netto dei già eliminati -che appunto se sono stati trombati evidentemente così imperdibili non dovevano essere-, e uno sulla struttura dello show e dei suoi ospiti, con in più quello zic di suspense della cacciata dal concorso di altri quattro artisti maggiori), per l’inviato (in pantofole o meno) che vive veramente il festival a livello mistico-totalizzante, è quella del chillout. Cioè: le canzoni ormai te le sei sentite tutte in tutte le possibili salse (tra mattina e pomeriggio credo di aver intercettato in radio più o meno l’intero cast, con qualche brano ripetuto fino a quattro volte); inoltre, quel che è peggio, a livello puramente critico le tue opinioni le hai già espresse e viste stampate (o uploadate). E anche se fatalmente la percezione dei brani cambia con gli ascolti ripetuti, le tue verità le hai già proclamate, le tue quattro cazzate le hai già dette e le tue cantonate (le prendono TUTTI, ed è questo il bello del gioco) le hai già prese. Quindi, hai voglia a voler tenere il ritmo e continuare a fare il brillante, a trovare la battuta o il calembour, ammesso che tu abbia ancora i riflessi pronti per poterlo fare. Se non sei ancora groggy, cerchi di risparmiare le forze per l’ultimo round di sabato; ma se sei ancora su di giri, gli appigli per tenere desta l’attenzione dei tuoi interlocutori invisibili (e magari esigenti, se ti seguono) sono pochi. A questo penso, mentre attendo il classico motivetto dell’Eurovisione (esiste ancora!), sorvolando per una volta sui contenuti di quel misterioso investimento che TIM ha voluto sostenere per la pietosa striscia di Primafestival. Tutto questo, Carlo e Maria lo sanno assai bene: e infatti la serata parte a razzo con l’esibizione dei quattro deb rimasti in lizza per il podio. Che escono, cabalisticamente, in quello che più o meno era già il mio personale ordine di spreferenza. Ovvero: Leonardo Lamacchia con Ciò che resta (brano “d’autore” ma nullo, e stasera eseguito con dovizia di stecche: voto 3); Lele con Ora mai (brano manifest talent di rara scipitudine, anche se il ragazzo appena diciannovenne è tutt’altro che sprovvisto d’intelligenza: voto 4); Maldestro con Canzone per Federica (brano di cantautorato pop standard che lascia intravedere potenzialità per ora non completamente espresse: voto 5) e Francesco Guasti con Universo (brano da voce graffiata con tema banalotto, ma nel rispetto di una forma-canzone sanremese ma anche no abbastanza interessante: voto 6).

 

Prima formalità espletata: ora, mentre le giurie fanno i loro casini e il pubblico televota, bisogna correre. Pensavate che quest’anno avremmo sfangato il balletto? E invece eccolo: suggestive (yawn) grafiche laser attorniano i Kitonb, danzatori acrobati su musiche che partono tipo Derezzed dei Daft Punk della colonna sonora di Tron Legacy e finiscono su una specie di electropoppizzazione di Enya (voto: NON SAPREI). Pensavate di aver sfangato lo sbarco di autorità liguri in sala? Macché: iniziano stasera e manca poco che Carlo vada a salutarli tutti uno per uno. Maria, per conto suo (o meglio: per conto degli autori, che probabilmente per stare in piedi hanno cominciato a farsi di colla), usa il suo maggior superpotere (il disintegratore di ritmo) per introdurre la gag inspiegabile della faccia da festival: ossia ipotizza l’esistenza di uno spettatore festivaliero medio, imperturbabile agli eventi e inebetito (avete presente la celeberrima sequenza di Pozzetto in Sono fotogenico? Ecco) ma provvisto di un sorriso (perché?) simile a quello di Sordi nell’episodio Guglielmo il dentone di I complessi. Maria e Carlo si infilano così due dentieracce da carnevale (boh) e lanciano un hashtag (#facciadafestival, non ho avuto il coraggio di girare sui social per vedere i selfie di chi ha provato a postare i suoi sorrisi). Poi presentano la giuria di qualità (in ordine alfabetico: Paolo Genovese, Linus, il presidente Giorgio Moroder, Greta Menchi, Andrea Morricone, Rita Pavone, Giorgia Surina, Violante Placido), ed è subito gara.

 

 

Un attimo. Greta Menchi?! E chi c**** è? Una fine pensatrice social (che a differenza della meravigliosa creazione/creatura Martina Dell’Ombra ci è, e questo NON è bello) con 444.000 follower -ma il numero cresce di secondo in secondo- su Facebook. È il pegno (pesante) che Carlo Conti è felice di pagare al popolo dei nuovi media (e vorrei già dirvi una cosa ma la cronologia del resoconto in questo momento non me lo permette). E pace.

 

 

 

 [So che è un po’ macchinoso, ma per la trattazione ampia (si fa per dire) e ponderata (si fa ancor più per dire) dei brani, vi rimando agli articoli dei giorni scorsi, già ridimensionati dal Tempo e dal senno di poi. Domani tutto sarà riassunto in un unico voto-macigno. E per oggi i giudizi ai brani dei Campioni saranno formulati  quasi apoditticamente, con un’unica locuzione più un pezzetto. I voti attuali tengono conto dell’enormità di sedimentazione intercorsa dal primo ascolto delle canzoni a stasera, nonché del loro radicamento nell’anima (ehm) e annullano e sostituiscono a tutti gli effetti i precedenti. Cominciamo]

 

 

RON – L’ottava meraviglia. Definitivamente fossile. Voto: 2 (anche per la falsa sportività)

CHIARA – Nessun posto è casa mia. Sorprendentemente spersonalizzata. Voto: 5 (malgrado l’aplomb)

SAMUEL – Vedrai. Neffamente subdaftpunkiano. Voto: 6 (col beneficio del dubbio)

AL BANO – Di rose e di spine. Dolorosamente appannato. Voto: 5 (per meriti curriculari)

ERMAL META – Vietato morire. Solipsisticamente impegnato. Voto: 6 (sebbene non so che)

MICHELE BRAVI – Il diario degli errori. Giovanilmente stravissuto. Voto: 6 (nonostante il turbamento)

FIORELLA MANNOIA – Che sia benedetta. Ecumenicamente sopravvalutata (la canzone). Voto: 6 (a causa della canzone)

CLEMENTINO – Ragazzi fuori. Subculturalmente dissociato. Voto: 4 (soprattutto per il cerchiobottismo)

LODOVICA COMELLO – Il cielo non mi basta. Disneyanamente risibile. Voto: 1 (tendente al ribasso)

GIGI D’ALESSIO – La prima stella. Subdolamente conservatore. Voto: 4 (a dispetto dell’abilità compositiva)

PAOLA TURCI – Fatti bella per te. Furiosamente anodina. Voto: 6 (lussuria esclusa)

MARCO MASINI – Spostato di un secondo. Innovativamente immobile. Voto: 6 (probabilmente generoso)

FRANCESCO GABBANI – Occidentali’s Karma. Comunicativamente metaBattiato. Voto: 5 (probabilmente  pregiudizioso)

MICHELE ZARRILLO – Mani nelle mani. Irrimediabilmente polveroso. Voto: 5 (invocando le attenuanti generiche)

BIANCA ATZEI – Ora esisti solo tu. Ripescabilmente ripescabile. Voto: 6 (anche per le lacrime rivolte al fidanzato in prima fila)

SERGIO SYLVESTRE – Con te. Maldestramente costruito. Voto: 5 (purché cambi imagemaker)

ELODIE – Tutta colpa mia. Spudoratamente derivativa. Voto: 2 (togli Emma ed è 1)

FABRIZIO MORO – Archiviabilmente sentimentale. Voto: 5 (in gradi-Battiato)

GIUSY FERRERI – Fa talmente male. Inappellabilmente zoppa. Voto: 4 (ma con dispiacere)

ALESSIO BERNABEI – Nel mezzo di un applauso. Lessicalmente sadico. Voto: 0 (senza speranza)

 

 

Tra un’esibizione e l’altra sono successe cose discretamente dimenticabili:

 

1) È tornato Crozza, che è come il buon Tavernello: in tre giorni va in aceto. Propone un nuovo sistema elettorale: il Sanremellum. Ahahahahah. E c’è anche domani. Voto: BASTA. 2) La valletta aggiunta di stasera era Marika Pellegrinelli, bellissima (e stop) moglie di Eros Ramazzotti, per par condicio di genere. Ha accennato un pezzo di Arisa. Voto: 5; 3) E’ arrivata Antonella Clerici in promozione di scuderia, fatta salutare da Conti con  una standing ovation perché il suo programma che debutta la prossima settimana si chiama Standing Ovation. Chissà se si fosse chiamato Heavy Rotation. Per farsi un selfie coi padroni di casa ha mostrato le terga al pubblico per mezzo minuto. Poi se ne è andata. Voto: AFFARI LORO 4) Virginia Raffaele, pure lei lì a tirare la volata a un suo futuro show per Raidue, si è prestata a un’intervista nei panni (perfetti) di  Sandra Milo. Vera come un falso d’autore, e bravissima: ma sempre sinistramente in bilico sul triviale, che è il suo bello e il suo limite. Chiusura felliniana con colonna sonora di Nino Rota. Voto: 6; 5) Si è palesato il grande assente: il maestro Peppe Vessicchio. Era in platea. Finita lì. Senza voto. 6) Hanno premiato i giovani. Ha vinto Lele, ex fidanzato di Elodie, figlio di Maria e beniamino delle quindicenni surrettiziamente imbevute dell’ideologia di Amici. Aveva ragione quella che la sera prima gli ha urlato “Hai già vinto”. Voto a scelta: o GOMBLODDO o CHISSENEFREGA. 7) È stata ricordata la giornata della memoria delle vittime delle foibe. Tra il pubblico si sono colti mormorii e borborigmi. Non si è capito se per motivi ideologici o più semplicemente se si stessero chiedendo “Foibe che?!” 8) Sono stati assegnati i riconoscimenti collaterali della categoria Nuove Proposte: il premio della critica “Mia Martini” a Maldestro, si suppone per esclusione, mentre quello della sala stampa al non finalista Tommaso Pini, si suppone per l’omonimia tra il cognome dell’artista e quella del noto nosocomio milanese in cui domenica mattina verranno internati quelli che lo hanno votato; 9) Luca Zingaretti, ennesimo ospite a costo zero, è venuto ad annunciare una novità assoluta: la nuova serie di Montalbano; 10) Maria ha regalato nuovi portachiavi a guisa di Carlo Conti al pubblico. Gli astanti, l’altra sera riluttanti, si sono gettati stavolta sul gadget come i soldati britannici disidratati su Gunga Din. Probabilmente il pezzo sta già facendo la fortuna degli spettatori eBayer; 11) Un medley-omaggio al presidente di giuria Giorgio Moroder  con alcuni suoi brani celeberrimi (bellissimi, come  Call Me, e orripilanti tipo Take My Breath Away) è stato eseguito dalla sconosciuta e mediocre Karen Harding, un vaccone coi riccioli a cui il Maestro ha pronosticato fortune immense, in un tripudio di coreografie glitterate eighties che pareva uscito da un incubo di Patricia Birch. 12) Si sono visti in platea quelli che Carlo Conti ha presentato come suoi ex compagni di scuola elementare, ma che sembravano più i suoi professori; 13) Si è esibito Robin Schulz, disc jockey tedesco compare di David Guetta che la clip introduttiva ci informava avere venduto CINQUECENTOMILA (???) dischi in Italia e che, non avendolo mai sentito nominare in vita mia, mi ha fatto prima riflettere sulla relatività della mia onniscienza e poi atterrire pensando alla vastità dell’universo. Voto: E CHE NE SO; 14) Carlo Conti ha ricordato nuovamente la vicenda delle foibe, mettendo il puntino sulla “i”. È stato uno dei momenti più misteriosi dell’intera kermesse; 15) È tornata Virginia Raffaele con uno spacco dell’abito bianco da vertigini, ma Caterina Balivo (già passato alla storia il video casalingo in cui elogia Ricky Martin “anche se è frocio”) non ha detto niente; 16) Rocco Tanica, sempre un po’ sottotono, ha presentato la consueta rassegna stampa. Voto: 6 meno.

 

E fino a qui tutto bene. Si fa per dire. Anche perché io mi sono reso conto di non aver più niente da bere, a parte una grappa di Barolo mummificata in un mobiletto e datata 1964 col carbonio 14, e ho dovuto attaccarmi al rubinetto nel tentativo di sfelpare la lingua.

 

Poi.

 

La sadica lotteria delle eliminazioni. Sono usciti definitivamente dalla gara Giusy Ferreri, Ron, Al Bano, e Gigi D’Alessio. Praticamente la rottamazione del vecchio (i tre uomini), come quando a Capodanno si lanciavano i piatti dalle finestre, e l’accanimento contro l’ex-proletariato tamarro baciato dalla fortuna (l’ex-cassiera Gaetana, già scoria irricevibile dell’era Neanderthal del talent). Sconcerto. Raccapriccio. Boati. Il verdetto è stato emesso dopo la reductio ad unum delle preferenze espresse via televoto SMS dai bimbiminkia, dei voti della giuria demominkia [una volta almeno c’erano quei bei collegamenti con le aule sordide e grigie in cui i presunti acquirenti compulsivi di musica italiana DOC –scelti verosimilmente  sulla base di quanti 45 giri di Orietta Berti avevano in casa; i più incliti avevano anche roba pesante, tipo gli LP dei Pandemonium e il greatest hits di Drupi-  erano chiamati al gravoso compito mentre oggi sono come l’arabafenicechecisiaciascunlodicedovesianessunlosa] e dei sopracitati esperti(minkia?). Vien giù il teatro. Perfino i droni che pattugliano lo spazio aereo antistante al roof garden scattano a DefCon-2. Si respira aria di svolta epocale, come lamenterà al DopoFestival Mario Luzzatto Fegiz dopo aver arringato a una telecamera contro i talent che a suo dire lo hanno esautorato dalla funzione di arbitro supremo del gusto musicale nazionale (per inciso, uno che scrisse “Jeff Beck, mitico chitarrista dei Cream”). Ma la colpa è del Mangiasogni (vedi articolo di lunedì 6), e della sua folle ricerca di consenso presso le fasce più facilmente manipolabili della società dell’effimero e la cui idea di gusto musicale non ha più nulla a che vedere con la musica in quanto tale.

 

Poi canta Lele. Ma l’universo che fu di Mia Martini, da oggi, non è più lo stesso.

A domani.