Il teatro è (dal) vivo: La segretaria di Natalia Ginzburg, regia di Leonardo Lidi, nella stagione estiva del Carignano

L’antefatto. L’11 giugno il Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale e TPE- Teatro Piemonte Europa annunciano di aver unito le forze tecniche ed economiche per realizzare un cartellone unico. È la prima volta che succede, ma – come dicono i presidenti dei due teatri Lamberto Vallarino Gancia e Maddalena Bumma – è un segnale importante che «manifesta il superamento degli interessi specifici a favore di una progettualità partecipata in un momento tanto delicato». E, aggiungono Valerio Binasco e Valter Malosti, direttori dei due teatri, «in questa inedita e imprevedibile fase storica, nella quale molte certezze sono svanite dalla sera al mattino e forse nulla tornerà a essere esattamente come prima, occorre reagire con energia propositiva e solida progettualità». Detto fatto. Il cartellone di Summer Plays 2020 propone, dal 15 giugno al 13 settembre, 16 titoli di drammaturgia contemporanea per un totale di 100 recite al Teatro Carignano, a cui si aggiungono 16 appuntamenti (lezioni, video…) inseriti nella sezione Extra Plays. Numeri che parlano e che rappresentano una risposta fattiva e attesa che molti altri teatri non sono stati in grado di dare, nonostante avessero i mezzi (finanziamenti pubblici e quant’altro) per farlo. Chapeau!

 

 

Il fatto. Dal 4 al 9 agosto, è andata in scena La segretaria, testo poco frequentato di Natalia Ginzburg  (come tutto il suo teatro, undici commedie scritte tra il 1965 e il 1991), per la regia di Leonardo Lidi. Si tratta della ripresa dello spettacolo andato in scena a fine 2016, parte di un trittico dal titolo Qualcuno che tace che comprendeva anche Dialogo e Ti ho sposato per allegria, tutti interpretati dallo stesso cast, con le musiche eseguite dal vivo dei Perturbazione. Come ha scritto la stessa Ginzburg nella Nota al volume Tutto il teatro (Einaudi, 2005, a cura di Domenico Scarpa): «Nelle mie commedie, in tutte, ci sono dei personaggi di cui si parla molto e che non compaiono mai. Tacciono, essendo assenti. Così finalmente c’è qualcuno che tace». Un testo attualissimo, in tre atti, scritto nel 1967, che mette al centro la parola: un elemento esterno (la segretaria del titolo, interpretata da Matilde Vigna non più in versione Aminta-biondo platino come nelle foto di scena del debutto) arriva a perturbare le dinamiche malate di una famiglia molto particolare. Sofia (grande interpretazione di Elio D’Alessandro), dopo aver lasciato il marito, è tornata a vivere con il fratello Nino (Christian La Rosa), nullafacente interessato solo ai cavalli, e la cognata Titina (Giorgia Cipolla), una donna molto cattolica, estenuata dai figli e dalla mancanza di sonno. L’altro personaggio è Enrico, amico di famiglia e medico, a cui tutti si rivolgono in cerca d’aiuto, unico punto di riferimento per questi personaggi alla deriva. Bella la scelta di farlo impersonare a un manichino, sempre uguale a se stesso mentre intorno gli altri si affannano e ripetono gesti e frasi, chiusi in una gabbia, la casa nella campagna alle porte di Roma, rappresentata da un grande tavolo al centro del palco con sopra il fondamentale telefono e intorno pochi oggetti.

 

 

Teatro di parola dicevamo e infatti le informazioni arrivano grazie a lunghe telefonate («il telefono è il mio solo conforto», dice Sofia) e riguardano per l’appunto gli assenti: in particolare Edoardo, fallito, alcolizzato e sporco, un editore per cui tutti lavorano facendo traduzioni senza venire mai pagati e da cui tutti sono attratti. Sofia è da sempre innamorata di lui, pur non ammettendolo, mentre la “segretaria” è la sua amante e Nino, l’amico fidato che accetta di ospitare la ragazza senza fare troppe domande. Gran direzione d’attori, tutti ottimi: Lidi sceglie di estremizzare i personaggi del nucleo familiare, optando per una recitazione sopra le righe caratterizzata da un tono di voce alto (lodevole l’assenza di microfoni) e un’inflessione volutamente marcata, quasi fossero dei burattini che si animano quando è il loro turno e ripetono parole e gesti a guisa di tormentone. Non così Silvana, la ragazza che non rientra nelle dinamiche della famiglia e sembra volutamente stonare in questo gioco di ruoli (non a caso si presenta dicendo «Qualche mese fa sono venuta a Roma e mi sono iscritta all’Accademia d’Arte drammatica. Ma ho paura che non ho una vera vocazione per il teatro», e poco più avanti: «Mi sono iscritta all’Accademia d’Arte drammatica. Ma non credo d’esser fatta per recitare»). Viene presentata come una «ragazzetta randagia», un animaletto poco rassicurante di cui non ci si può fidare. E infatti compare con indosso una maschera da topo e tutti si riferiscono a lei come a un roditore o a un rettile («un topo ripescato dall’acqua», «Ma è un topo, mangerà come un topo», «Però l’avete vista com’è? Una lucertolina. Una di queste ragazzette che girano adesso. Non hanno dei sentimenti veri. Non hanno futuro», «Se ne deve essere innamorato perché è una specie di lucertola, sfuggente, malinconica, indecifrabile», «È soltanto una ragazzina. Una povera lucertolina inseguita, un povero topo», «Non è una vipera, è una lucertola, un topo», «Poi s’è innamorato della ragazza che è una lucertola», «Lei, una lucertola senza casa»). Il gioco della recitazione è esplicitato anche nella scelta degli oggetti di scena: un cavalluccio a dondolo (il cavallo amato da Nino), una macchinina dorata (la Seicento di Sofia che «si ferma ogni dieci metri»), il ferro da stiro (di Titina) che diventa astronave, la macchina da scrivere (per le traduzioni)… quando gli attori lasciano la scena a chi sta parlando. L’effetto è molto divertente fino a quando non irrompe in scena la morte e ribalta tutto (letteralmente, il tavolo finisce gambe all’aria), cambiando il tono. Il primo a morire è il cavallo (alla fine del secondo atto), da questo momento suicidi tentati e compiuti, morte di parenti, per concludere con la presa di coscienza amara di Sofia che ricorre, ancora una volta, al parallelo con il mondo animale: «Siamo dei cani con la vita. La vita è cagna con noi e noi siamo dei cani con la vita».

 

 

Sul palco i Perturbazione commentano quello che sta succedendo facendo riferimento a tutto l’universo della Ginzburg con canzoni che non lasciano spazio alla speranza: dall’iniziale «Noi stiamo bene anche in silenzio… Mi manchi pure se ci sei», alla finale «Questo nulla è tutto quello che mi resta».

 

Conclusione. Non è confortevole vedere uno spettacolo teatrale con indosso la mascherina, ma si può fare (l’ordinanza del 15 giugno diceva che era obbligatoria per gli spettatori «ma solo finché non raggiungono il posto assegnato», dal 15 luglio è diventata obbligatoria solo al chiuso e quindi, anche se non esplicitamente dichiarato in nessuna ordinanza, per tutta la durata dello spettacolo).
Non è confortante vedere uno spettacolo a distanza di sicurezza, con molti sedili abbassati (un posto disponibile ogni due bloccati al Carignano, la capienza massima rimane di 200 spettatori al chiuso), ma si può fare. Per tornare ad assistere a uno spettacolo dal vivo – e non a semplici letture di testi – si può fare qualsiasi cosa. Il Teatro Stabile di Torino e il TPE con i loro Summer Plays lo hanno dimostrato.

 

 

Foto dello spettacolo di Luigi De Palma