Flatland, l’esplorazione multidimensionale di Aydin Büyüktas

«La più grande debolezza del pensiero contemporaneo mi sembra risiedere nella sopravvalutazione esagerata del conosciuto rispetto a ciò che rimane da conoscere». Così André Breton, si esprimeva circa la pigrizia umana nell’esplorazione oltre i confini dell’ordinario. È una frase che rispecchia anche la personalità di Aydin Büyüktas, emergente artista turco esperto del digitale e, se vogliamo, fotografo surrealista. Perché Büyüktas non è un fotografo come tutti gli altri. E i suoi paesaggi sono reali soltanto all’apparenza. Fino al 17 settembre la Matter Gallery di Toronto ospita la mostra Flatland, il progetto fotografico che ha catapultato l’artista di Ankara sulla scena internazionale. Büyüktas è un sovvertitore, un po’come l’autore del romanzo da cui ha tratto ispirazione. Mentre tanti associano a buon diritto i suoi scatti alle architetture mozzafiato sognate da Ellen Page nel film Inception, va infatti ricordato che il trigger artistico di Flatland è stato però un’opera letteraria, per la precisione l’omonimo romanzo di Edwin Abbott: l’incontro tra un abitante di un ipotetico universo bidimensionale e quello di un mondo tridimensionale (da noi uscito come Flatlandia per Adelphi).

 

In sostanza, una palla demolitrice che abbatte le certezze di chi, una volta scoperta l’esistenza di altre dimensioni, si trova a dover riesaminare la propria percezione della realtà tenendo conto di altri punti di vista. Molto popolare tra gli studenti di facoltà scientifiche, il racconto ha fatto da trampolino di lancio ad un artista che le leggi della fisica, invece, le sfida: Büyüktas infatti scatta per ogni paesaggio reale una ventina di fotografie, per poi manipolarle con un software 3D e cucirle digitalmente in un’unica immagine multidimensionale, che sconvolge l’occhio troppo abituato all’ordinario. Così, una città dalla tradizione secolare come Istanbul, con i suoi scorci e le sue moschee magari inalterati da decenni, vengono d’un tratto stravolti, senza più un orizzonte visibile, prima disorientando l’osservatore e poi obbligandolo ad uno sforzo mentale di riconoscimento dei soggetti da sempre familiari ma contemporaneamente estranei perché rivoluzionati. Allo stesso modo ponti, stadi, parcheggi e strade trafficate si curvano all’infinito senza più confini netti, sembrano straripare dai bordi di ciascuno scatto ed avvolgere chi li sta osservando. Combinando molteplici dimensioni e volumi, le fotografie digitali di Büyüktas conferiscono agli spazi urbani un sapore nuovo, e come il paesaggio, costretto dalla deformazione, quasi smania ad uscire dalla fotografia, così lo spettatore si trova a trascendere gli angusti limiti del suo schema mentale, allargando i suoi orizzonti e interpretando una realtà già conosciuta in modo del tutto nuovo, con prospettive diverse. Il cortocircuito visivo che si crea porta allo smarrimento delle certezze della logica ma, al contempo, anche ad un dolce naufragare nell’anarchia dell’istinto, nella confusione dei sensi, nell’apprezzamento di regole non scritte. Sulla scia di Magritte, l’artista turco con un clic conferma l’inesorabile distanza tra realtà e sua rappresentazione.