Sunday Happy Sunday: Bruce Springsteen a Dublino

Ho visto il concerto di Bruce Springsteen e la E Street Band domenica 7 maggio a Dublino. Seguirli in Irlanda era un po’ un vecchio sogno, tappa significativa anche per B per motivi biografici, essendo gli antenati del padre originari di Rathangan, Contea di Kildare. Dove si è recato nei giorni degli show (in tutto 3) per una sorta di pellegrinaggio laico. È entrato nella principale public house della cittadina, 2374 abitanti, ha ordinato una Guinness, familiarizzato con alcuni clienti e infine, a sorpresa, ha intonato My Hometown. «Son, take a good look around. This is your hometown». Facile sentirsi a casa, lassù. Vedere un concerto alla RDS Arena della capitale ha il sapore dell’evento. I dublinesi sono fieri di questo spazio dove si gioca principalmente a rugby, studiato apposta affinché la visuale sia perfetta da qualunque angolazione. La capienza degli spalti è di circa 20 mila persone, alle quali per lo show se ne sono aggiunte altre 10 mila nel prato. Il pubblico locale ha vissuto inizialmente il concerto come una sorta di festa collettiva, c’era più fila – con tanto di serpentina – per accedere agli stand delle birre che per entrare allo stadio, dove trovavi i soliti fan più agguerriti nel pit ma anche un sacco di famiglie con bambini intorno. Senza il calore degli stadi italiani, ma con un’altra sensazione diversamente armonica che non saprei neanche definire. Dietro di me un bambino che avrà avuto non più di 7 anni a un certo punto ha chiesto al padre cosa dicesse il ritornello di Pay Me My Money Down perché non lo capiva bene. Quando ha colto le parole mancanti ha cominciato lui a martellare, nell’accento locale, secondo il quale «money» si pronuncia quasi come lo si leggerebbe in italiano, senza aprire la «o» per farla sembrare una «a», e quindi «pai mi mai moni doun». Chiunque abbia partecipato a un concerto di Springsteen dovrebbe avere ben chiaro il concetto di condivisione. In Irlanda ha una connotazione diversa, più rilassata. Che se hai venti o trent’anni può magari scocciare se paragonata al trasporto di San Siro, ma a 50 ti fa sentire appunto a casa.

 

 

Lo show. Anzi, la scaletta, tanto criticata da molti fan perché cambia poco di data in data. Di solito 27 brani, a questo giro 28, dei quali 22 fissi, quattro o cinque a rotazione e una novità. Così lo schema. La novità del mio concerto è stata l’inizio con My Love Will Not Let You Down seguita immediatamente da Death to My Hometown che per esecuzione e potenza è stata tra le migliori. Bellissimo l’arrangiamento di The Rising con la prima strofa cantata con una leggero eco, molto d’effetto. E straordinario, anche rispetto a precedenti esecuzioni del medesimo brano, il pathos di Backstreets che in questo tour ha un ruolo decisamente centrale. Il concerto è più studiato rispetto al passato, da qui l’esigenza di scalette meno elastiche, perché c’è poca improvvisazione e perfino gli speech di Bruce, nella loro essenzialità, si ripetono identici, secondo una formula sperimentata e poi codificata nelle performance acustiche a Broadway della stagione 2017/18. Rispetto alla pratica della richiesta dal pubblico tipo juke box del River Tour 2016 io preferisco così. Non ho mai amato troppo neanche la riproposizione intera degli album, la scaletta di un concerto deve raccontare un’altra storia, nuova, rispetto alla tracklist di un disco.

 

 

Ma il vero motivo della struttura del tour 2023 è che Bruce ha scelto un percorso che valorizzi maggiormente la band, per meglio integrare le sue possibilità fisiche e vocali. Da qui lo schema di uno spettacolo suonatissimo, con brani fissi come E Street Shuffle, Nightshift, Kitty’s Back e Mary’s Place (ottima) dove tutta la band scende con lui verso il proscenio e dove le parti dominanti sono soprattutto musicali, con l’apice nel duello gioioso tra la batteria di Mighty Max e le percussioni di Anthony Almonte sullo shuffle. Una regia musicale (di Bruce e Jon Landau) che consente una compattezza inedita, maggiore sintesi (la durata media degli show è di 150 minuti, un po’ meno del solito, questo irlandese è durato qualcosa di più perché ha suonato un vettottesimo pezzo, immagino da calcolare tra i due di apertura) e una resa diversa ma comunque impressionante. Forse la recensione migliore del concerto di questa domenica memorabile l’ha scritta un utente del sito ufficiale, tale John Doyle dal Donegal: «A complete cohesive set with blistering pace, no let up at the gig. E Streeters sublime». Un set completo e compatto, con un ritmo vertiginoso, senza tregua, E Streeters sublimi. Esattamente così. (Le immagini del concerto sono di Rob DeMartin).