Tiago Rodrigues è autore e regista fra i più vivaci e originali della scena europea. Abbiamo visto i suoi spettacoli da ERT, in Biennale, al Piccolo. Dirige il Festival d’Avignone la maggiore rassegna di teatro europeo. Lo fa con coraggio e umiltà, senza protagonismo ma anche senza tirarsi indietro, in una situazione europea preoccupante e pericolosa, alla quale il teatro e le arti possono opporre la forza dell’immaginazione, la resistenza della cultura, l’apertura al mondo dell’arte. Tiago ha risposto, organizzando una notte straordinaria di dibattito (dal 4 al 5 giugno al Palazzo dei Papi). Ma lo ha già fatto con un programma di spettacoli di alta qualità e variegata provenienza che, insieme alle 1600 proposte di Avignon-OFF fanno di questa città il centro più vivo che c’è del fuoco teatrale per tre settimane. Qui ha presentato Hécube, pas Hécube, una pièce originale che prende spunto e lavora intorno a Euripide per raccontare, in modo originale, ironico, a tratti vertiginoso, il dolore e l’ingiustizia del mondo. La produzione della Comédie Française (nel cast fra gli altru Éric Génovèse, Denis Podalydès e Elsa Lepoivre) girerà un sacco in Francia per approdare al Teatro parigino nella primavera del 2025. È uno spettacolo da non perdere che ci muove e ci interroga con la sua ri-petizione (l’eco di Ecuba in me). Teatro come questo è un vero e proprio risveglio spettatoriale e politico. Qui cerco di dire in nove (ap)punti perché ho visto tre volte questo spettacolo.
Qualche nota a margine di Hécube, pas Hécube di Tiago Rodrigues (visto, a ripetizione, il 30 giugno, 1 e 2 luglio 2024 ad Avignone)
Prima ripetizione
Prove
Répétition, rehearsal. Inizia con una prima lettura a tavolino, con un coro prematuro, cacofonico e scordinato, ché la prima è ancora un traguardo lontano (“On a le temps” si ripete), quella che vedremo/vediamo di Hécube, pas Hécube di Tiago Rodrigues. Gli attori hanno dubbi di prossemica, buttano lì soluzioni espressive, s’interrogano su mezzi produttivi, soluzioni scenografiche, trucco e costumi, fanno lapsus, scherzano, e ipotizzano tagli in nome di sensibilità odierna e correttezza politica, s’interrogano su violenza (scena e osceno) e ironia. “Euripide merita di meglio” ripete Denis Podalydès (qui Agamennone, poi procuratore d’inchiesta). Leggono. Ripetono.
Seconda ripetizione
Autismo
Un bambino autistico, Otis, figlio di Diane Roger, attrice che interpreta Ecuba. Lei ha sempre da fare e ha spesso la testa altrove, è sbrigativa e distratta al tavolino. È convinta che il figlio dodicenne, appassionato alla follia di Otis Redding (che ascolta con un casco che nasconde una cuffia), abbia subito violenza nella casa di accoglienza in rue della Paix, e non si dà pace. Vuole sporgere denuncia. Il bambino conosce poche parole che ripete, o – au contraire – nega (essere, non essere, Hecu-be or not Hecu-be). Il ragazzino fa dei movimenti ripetitivi, dei gesti che tornano, che sono una danza. Ha degli “interessi ristretti” (ossessivi?). Gli piace il cioccolato. Gli piace il cane. Con questi non usa mai il “non”.
Terza ripetizione
Testimonianza
Diana Roger decide di avviare un procedimento giudiziario. Sporge denuncia. Dovrà rendere testimonianza. Ripetere le stesse risposte, essere credibile, giustificarsi e dire parole precise, sostenere le sue accuse, nutrire di parole e argomenti il suo movente di vendetta e giustizia. L’avvocato le ripete la domanda test: come può una madre lasciare ad altre persone un bambino nel momento in cui ha più bisogno di lei? È un’attrice. Diane ripete per arrivare a dire la verità, per arrivare alla verità.
Quarta ripetizione
Musica
Le note di Otis Redding tornano fra una scena e l’altra, ora accennate, ora distorte, infine (verso la fine) protagoniste di un momento musicale in cui il coro è finalmente all’unisono e la danza prende corpo (con il casco di Otis si raggiunge uno spazio altro, che forse è un helmet/Hamlet che dentro ri-suona). La ripetizione è ritmo, il ritmo è musica e danza. Bellezza d’anima che prende corpo. Dionisiaca libertà e felice coordinazione. Teatro.
Quinta ripetizione
Inchiesta
L’inchiesta: domande, interrogatori, pungolano, rievocano ossessivi il passato, provano a ricostruire la verità e a dare giustizia. Ripetere è scavare, andare a fondo. La verità è un ago che buca gli occhi. La statua si ri-vela.
Sesta ripetizione
Battuta/abbindolare (duper)
Il caffè. Tormentone del procuratore, l’offerta di un “ristretto” per mettere a loro agio le vittime, per sciogliere i testimoni, per smorzare la tensione e il nervosismo, per prendere in giro i colleghi. Un piccolo tormentone comico che puntella la pièce. “Gli dei si prendono gioco degli affanni dei mortali” ricorda Euripide, e questa dimensione ironica è un tratto del tragico. Rodrigues ci abbindola, si fa gioco di noi, gioca con noi.
Settima ripetizione
Dolore
“Il dolore che segue al dolore che segue al dolore…”. La ripetizione è, anche, questo: un girone infernale. Questo ricorrere vorticoso del dolore (“Certo che le cose vanno male: è una tragedia!”). La catena del male subito e inferto. La vendetta. La condanna al dolore che visita la protagonista, senza tregua.
Diane/Ecuba è (come noi) in un labirinto.
Così Ecube dà sfogo e voce alle lacrime trattenute di Diane, così Diane è posseduta dalle parole di Ecube. E il dolore di Ecuba rivive attraverso l’esperienza del dolore di Diane, in tutto il suo senso/non senso. E anche i personaggi secondari e gli attori minori rivendicano di essere protagonisti della loro vita e dunque segnati e consegnati alle lacrime degli eroi.
Ottava ripetizione
Il mito
La storia amata per il bambino, il classico indelebile per definizione, la narrazione è ri-petizione, una storia che ancora deve e vuole essere detta e ascoltata, che ci domanda, ci mette in questione. È sempre la stessa storia? Sì e no. Uguale e nuova.
Nona ripetizione
Il cane perduto
Otis ama un cartone animato con un cane perduto che cerca. Cerca, corre e abbaia. Senza pace. Non trova mai quello che cerca (padrone, casa, cibo?), la serie racconta sempre questo “streben” (direbbe Goethe). Ecuba/Diana è quel cane, gioca seriamente a fare quel cane. Il suo abbaiare è recita, è dolore, è domanda di giustizia, è ricerca, inquietudine, eco del dolore di ognuno, e della forza di con-battere. By heart.
Il teatro di Tiago (si) ripete? Sì, gioca con la ripetizione. Meglio: con-batte. Vivo, ironico, in cerca.
(Le fotografie sono di Matteo Columbo).