Se ne è andato la scorsa notte Antonio Zanoletti che avevamo intervistato in occasione della scomparsa di Milva avvenuta il 23 aprile 2021. Antonio era una persona con cui si entrava subito in sintonia, estremamente cordiale e generosissima che non ha lesinato i racconti e gli aneddoti sull’epoca d’oro del teatro italiano. «Un’anima bella», come dicono i numerosi messaggi di cordoglio comparsi sui social da parte di chi lo ha conosciuto e ha avuto il privilegio di lavorare con lui (incredibilmente manca un comunicato da parte del Piccolo Teatro a cui tanto Zanoletti ha dato). Lo scorso novembre, in controtendenza come sempre, aveva aperto l’Osoppo Theatre Valentina Cortese, «un teatro a Milano dove la storia del teatro guarda al teatro del futuro». Lo ricordiamo riproponendo le sue parole su Milva, con il rammarico di non aver chiacchierato con lui dei suoi nuovi progetti. Ci mancherà.
Oltre che essere un ottimo attore di teatro (ma anche regista, docente e doppiatore), Antonio Zanoletti – classe 1949 – è un profondo conoscitore del Piccolo Teatro dove ha mosso i primi passi debuttando in El nost Milan diretto da Giorgio Strehler. Non vuole essere definito “memoria storica” di un periodo d’oro perché per lui ricordare «è un modo di esprimere affetto per Strehler, per il Piccolo Teatro, per Valentina Cortese», convinto che «coltivare la memoria» sia «un modo per agganciarsi al futuro lasciando il segno senza rompere gli anelli di congiunzione con chi è venuto prima». Per questo gli abbiamo chiesto un ricordo di Milva e del suo incontro con Giorgio Strehler, l’uomo che le ha cambiato la vita.
La cantante da balera
Per raccontare in maniera adeguata la parabola di Milva non si può non partire da lei come cantante da balera. Quando incontra il maestro Strehler era già strepitosamente famosa, aveva partecipato più volte a Sanremo, ma non si adagia e, anzi, rivela un’intuizione e un’intelligenza notevoli rimettendosi in gioco e accettando anche il massacro perché non è stato un incontro facile. Pur amando gli attori – e Strehler li ha sempre amati – aveva già in testa cosa avrebbe potuto ottenere da loro, intravedeva le loro potenzialità e su quelle insisteva finché non le tirava fuori.
Un cavallo si lamenta
Colpiva vedere questa donna già famosa che aspettava per ore l’arrivo del Maestro – perché lui arrivava sempre in ritardo avendo mille cose da fare -, ma vederla semplicemente in scena a gambe divaricate, mani sui fianchi, lei che era anche una donna timida… Mi verrebbe da dire che usava la sua aggressività come arma per difendersi da una timidezza abbastanza spiazzante che però in una ragazzetta com’era lei, di provincia, è naturale ci fosse. E Strehler la tormentava. Mi ricordo di lei in scena che deve dire fino allo sfinimento il titolo di una canzone di Brecht: era Un cavallo si lamenta e lui glielo fa ripetere mille volte, ore e ore, dandole indicazioni: «Più secca», «Più lucida», «Non interpretare». Ed ecco venir fuori l’intelligenza di Milva che ha intuito che attraverso quest’uomo lei poteva durare nel tempo e trasformarsi nella cantante colta, raffinata e nell’attrice che è diventata. Strehler intuiva cosa stava dentro una crisalide che poteva essere trasformata in una grande farfalla. E lei ha dato il suo contributo, ha messo la sua creatività a disposizione, come facevamo tutti, perché sentivamo di fare parte di una famiglia e che stavamo costruendo qualcosa di importante.
Il caso la sa sempre lunga
Milva è stata scoperta da Gino Negri, un musicista che lavorava prevalentemente al Piccolo Teatro occupandosi anche di musica colta. Sentendola cantare, Negri intuisce che Milva avrebbe potuto interpretare il repertorio della Resistenza quindi organizzò uno spettacolo su questo tema. Poi, come dico sempre, il caso la sa lunga: Paolo Grassi la vede in una trasmissione televisiva e la raccomanda a Strehler. Il quale con largo anticipo pensava già a quello che voleva fare; nella fattispece aveva in mente una serie di recital su Bertolt Brecht dopo aver già messo in scena Galileo, la prima edizione de L’opera da tre soldi (che risale al 1956). Qui siamo negli anni 60 inoltrati e Strehler sente in Milva la potenza della voce, grezza, e la raffina. E da grande esteta qual era – non ha mai rinunciato a mettere insieme la qualità con l’estetica perché l’armonia viene dal tutto – trasforma la “pantera di Goro” ne “la rossa” che successivamente canterà Battiato, Morricone… In qualche modo Strehler la sgrezza per farla diventare nella seconda edizione de L’opera da tre soldi – che ha girato il mondo con Domenico Modugno, Giulia Lazzarini e uno stuolo di attori uno più bravo dell’altro -, Jenny delle Spelonche. Per l’occasione le toglie i capelli rossi, le mette un caschetto nero alla Louise Brooks e la fa diventare una donna dark. Lo spettacolo è ambientato negli anni Trenta con un passaggio storico rispetto alla prima edizione che fa sì che sia più vicino a noi, a quel periodo abbastanza orrendo del berlusconismo dove far soldi e avere successo a tutti i costi scavalcando anche i cadaveri, è quello che conta. Milva diventa così la grande cantante che tutti conosciamo per poi continuare con i recital, Io Bertolt Brecht n. 1-2-3 fino all’ultima edizione in cui Strehler viene sostituito da Tino Carraro. Ha girato il mondo ed era apprezzatissima in Germania, ha ricevuto onorificenze, ed è stata paragonata alle grandi cantanti brechtiane a partire da Helene Weigel, moglie di Brecht, fino a Ute Lemper, che è stata una delle ultime grandi interpreti.
Popolana e popolare
Ovviamente Milva ha continuato a fare la cantante di musica leggera perché è sempre stata una donna popolare e popolana ma raffinata da Strehler ha dimostrato di avere un’altra possibilità, ha tirato fuori altre sfaccettature. È diventata una farfalla dalle ali di acciaio, dico io, perché ha avuto la grinta, la caparbietà di perseverare e di durare nel tempo.
Un grande coraggio
Milva ha vissuto grandi storie d’amore finite molto male, con Mario Piave un ottimo attore, morto tragicamente, poi Gigi Pistilli, morto suicida… sono cose che vanno ricordate non per la chiacchiera mondana, ma per capire che ha patito dolori enormi che hanno contribuito a trasformarla in quello che era. Sono tragedie che sono state usate al tempo per parlare di lei in modo becero e invece lei era ben altra da come la descriveva la stampa, che la ritraeva con i polsi fasciati per dimostrare che aveva tentato il suicidio, dimenticando che lei è stata una donna in continua trasformazione.
Se uno pensa che veniva dalle balere ferraresi della bassa padana ed è arrivata dove è arrivata per la sua bravura, per la sua tenacia. Ha cantato prima alla Piccola Scala, poi alla Scala con Luciano Berio, con Bruno Maderna. Questo va ricordato di lei. Poi ha avuto anche lei le sue fragilità, ma ha avuto anche il coraggio dieci anni fa di ritirarsi, di fare un passo indietro e dire non voglio più apparire. L’ultima volta che l’ho vista era una domenica pomeriggio al Piccolo, nascosta dietro grandi occhiali, in compagnia della sua fedele segretaria. Non la riconosceva più nessuno ed era quello che voleva, ma ancora guardava, veniva a teatro… Mi ha fatto molta tenerezza quel giorno.