Wes Anderson: Asteroid City è una grande impresa corale

Ci sono voluti due anni perché Wes Anderson tornasse in competizione a Cannes dopo The French Dispatch, il suo mosaico di storie francesi nel 20° secolo. Questa volta il regista  torna indietro nel tempo presentando in Asteroid City il ritratto di una città degli anni ’50 e dei suoi abitanti. Protagonisti sono Jason Schwartzman, Scarlett Johansson e Tom Hanks, accompagnati da un corposo entourage di altri noti nomi del mondo del cinema che hanno già collaborato in precedenza con il regista, tra i quali si annoverano Adrien Brody, Tilda Swinton, Willem Defoe ed Edward Norton. Tra i vari co-protagonisti figurano anche Maya Hawke, Rupert Friend e Jeffrey Wright.

 

L’idea dietro al film

Wes Anderson (WA): Posso dire che ci siamo dedicati alla preparazione di questo film nel miglior modo possibile, per cui sicuramente c’è dietro una grande ricerca accademica in merito alla possibilità di vita su altri pianeti; ad esempio Steven Hawking ha detto che è improbabile che non ci sia vita extraterrestre, per cui possiamo affidarci più che altro alle statistiche. Comunque io non ci credo veramente. Mentre stavamo scrivendo la sceneggiatura ci siamo accorti di avere poco o nulla in mano, per cui ci siamo informati e durante la preparazione abbiamo preso spunto dal protocollo sanitario che dovevamo ancora rispettare sul set. Perciò posso dire che ci siamo basati da una parte per la stesura dello script sull’epidemia da Coronavirus, soprattutto in relazione al tipo di scenario in cui è ambientato il film, ovvero una grande area desertica in cui c’eravamo solo noi.

 

 

L’influenza sulle nuove generazioni di una certa idea di cinema

WA: Avremmo potuto usare molte tecniche avanzate in post-produzione, come ad esempio la CGI, ma quello che abbiamo cercato di fare è cambiare l’esperienza degli attori coinvolti e spero di aver ottenuto un buon risultato sforzandoci di creare questo spazio. In più sono particolarmente attratto dalle vecchie tecniche cinematografiche, e posso affermare che il nostro modo di approcciarci al cinema è con molta probabilità simile a quello degli anni ’30. Non so se questo possa avere un reale impatto sulle nuove generazioni, ma sicuramente la tipologia di tecnica utilizzata dipende molto dal tipo di storia che si vuole raccontare.

 

Il ruolo del teatro

WA: Attraverso l’impianto teatrale ho voluto imprimere una connotazione passionale alle storie raccontate, e inoltre mi piace avere molto tempo per poter montare le varie sequenze e credo che il risultato si veda.

Brian Cranston: Questo film mette in scena uno show televisivo che a sua volta narra la storia di un teatro incentrato su diverse storie d’amore e tutto questo è stato legato insieme efficacemente grazie a tutti coloro che hanno lavorato con noi che hanno sicuramente offerto un grande supporto.

 

 

Una grande impresa corale

WA: Non penso di aver mai realizzato prima di girare il film quanto ogni attore coinvolto giochi un ruolo fondamentale all’interno della storia, per cui è stata una bellissima esperienza credo per tutti noi.

Jeffrey Wright: È davvero inusuale che un regista, a maggior ragione se non ha mai intrapreso anche una carriera da attore, si focalizzi così attentamente sui dettagli e capisca così bene il processo delle riprese e l’esperienza del set dal punto di vista attoriale, e Wes è veramente in grado di comprendere molto bene per ciascun attore la situazione in cui viene calato ogni volta.

WA: Penso che gli attori siano diversi da chiunque altro, ad esempio rispetto all’équipe tecnica, poiché costituiscono un tutt’uno che appare misterioso soprattutto nel momento dell’inizio delle riprese; sono infatti proprio loro che costruiscono il film creando legami e connessioni interne molto forti.