Diego Pleuteri: Come nei giorni migliori ovvero di cosa parliamo quando parliamo d’amore

Che cos’è l’amor? Dopo Vinicio Capossela a interrogarsi sulla relazione amorosa è Diego Pleuteri, giovane drammaturgo (non ha ancora 25 anni) che attraverso la relazione tra due ragazzi compie un’indagine a tutto campo sulle dinamiche amorose tra due persone agli antipodi che vivono e sognano cose diversissime (struggente e azzeccatissima la versione karaoke di L’elefante e la farfalla di Michele Zarrillo). L’eccellente regia di Come nei giorni migliori è di Leonardo Lidi, anche vicedirettore della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino, che ha creduto e dato fiducia a Pleuteri: «In ciò che è bello definire percorso – afferma Lidi nelle note di regia – trovo doveroso accompagnarlo al debutto, affidandomi alle sue doti e al suo sentire per ricordarci e ricordare a me stesso che essere giovani non può e non deve essere un difetto». Una scrittura fulminea quella di Pleuteri – ricca di trovate geniali, di citazioni colte (da Sant’Agostino a Jacques Prévert alla Bibbia) che non sono mai sfoggio gratuito – che dà vita a un testo denso e insieme divertentissimo che prende di mira le mode del momento (esilarante la partita di paddle in cui uno dei due protagonisti si chiede: «Il tennis non andava più bene? E la pallacorda?», ma anche l’allusione al Campionato mondiale di nascondino che davvero esiste) ed è pieno di riferimenti metateatrali, che chiamano direttamente in causa la rappresentazione riferita anche alla vita, con i ruoli che ognuno è costretto a interpretare. Uno spettacolo da non perdere, con due interpreti strepitosi e perfettamente calati nei rispettivi ruoli: Alessandro Bandini e Alfonso De Vreese. Abbiamo incontrato Diego Pleuteri, un drammaturgo di cui sentiremo parlare.

 

 

Nelle note di drammaturgia dici che scrivere Come nei giorni migliori «è diventato un’indagine. Il tentativo di scoprire nei dettagli di una vita dove potesse emergere l’amore». Da cosa sei partito?
Una delle prime cose è stata comprendere – anche insieme a Leonardo – quale fosse la base su cui appoggiarci. Leonardo mi aveva chiesto di scrivere una storia d’amore tra due uomini e questo offriva un ventaglio molto ampio di possibilità, quindi innanzitutto si trattava di capire da dove partire. Quasi subito gli ho proposto di scrivere una commedia romantica anche se non sono un grandissimo fan del genere, ma mi sembrava potesse consentire di raccontare meglio la storia che avevamo in mente. Diciamo che è stato un primo tassello, lo strumento per indagare l’amore. Già sapevo che gli attori sarebbero stati Alfonso e Alessandro, quindi il passo successivo è stato invitarli a prendere un caffè e intervistarli, non solo sull’amore ma anche su altre cose per entrare in contatto più intimo con loro, per conoscerli meglio non solo per quanto riguardava il testo, ma anche come persone. Sono così venuti fuori dei dettagli, cose molto piccole che Alfonso e Alessandro dicevano o facevano involontariamente, come si comportavano e cosa succedeva mentre parlavamo che mi hanno offerto degli spunti.

 

Ci fai un esempio?
Dietro la cover del telefono Alessandro aveva una frase di Oscar Wilde scritta sulla carta di un Bacio Perugina e mentre parlavamo, come se niente fosse l’ha presa e l’ha gettata pensando fosse una frase stupida. Ora il prologo dello spettacolo è stato leggermente tagliato ma “Ama e fa ciò che vuoi” è una frase di Sant’Agostino che viene scritta sui Baci Perugina e in origine Alfonso iniziava lo spettacolo dicendo che aveva trovato per terra la frase di un cioccolatino con su scritto un aforisma. Si tratta di dettagli anche piccoli che però raccontano qualcosa… E poi ho intervistato persone di età diverse, più grandi, e ho guardato tantissime commedie romantiche….

 

 

Infatti il tuo spettacolo mi ha fatto pensare molto al cinema, da Un amore di Tavarelli a Storia di un matrimonio di Baumbach. Quanto il cinema è per te punto di riferimento?
Dipende dal lavoro che sto facendo, in questo caso lo è stato tantissimo. Uno dei miei riferimenti per quanto riguarda il cinema di solito è David Lynch e sono un grande appassionato di film dell’orrore, ma qui non c’è niente di tutto questo. Sì, c’è tanto cinema, sicuramente l’autore più importante per questo lavoro è stato Woody Allen. Quest’anno ho visto tantissime commedie romantiche… Prima avevo un pregiudizio che ora ho superato.

 

Avevi già previsto in fase di scrittura l’interazione con il pubblico?
No, è stata una scelta di regia, ma chiaramente il testo si prestava. Ci sono solo due attori, ma a me interessava che si rapportassero con qualcun altro, con l’analista, con la famiglia, con gli amici, c’era tanta apertura rispetto a loro due e allora Leonardo ha pensato che queste altre persone fossero rappresentate dal pubblico.

 

Molto bello anche il lavoro sullo spazio scenico, dove di fatto non c’è nulla…
Del lavoro che ha fatto Leonardo mi piace molto, anche come spettatore, che sul palcoscenico rimanga il caos. Personalmente lo trovo bellissimo perché mi racconta la vita, è come se in quel casino che rimane e che ogni sera cambia vedessi tutto quello che è successo, come se in quei vestiti buttati per terra ci fosse un po’ tutta la vita.

 

 

I due protagonisti non hanno nomi, vengono identificati dai loro soprannomi: Billy e Jessica. Non hai ancora 25 anni ma fai riferimento a personaggi iconici che per la maggior parte dei tuoi coetanei sono sconosciuti (penso a Jessica Fletcher, ma in parte anche a Billy Elliot). Come ti sono venuti in mente?
Ho scelto Billy Elliot perché è uno dei film preferiti di Alessandro Bandini, mentre Jessica Fletcher è nata mentre scrivevo perché in realtà l’ho vista molto su Rete 4 quando tornavo da scuola (ero alle medie o forse alle superiori, non ricordo bene), mentre pranzavo tutti i giorni guardavo La signora in giallo.

 

Il fatto che sia una coppia omosessuale, nei nostri tempi è una scelta forte, anche politica.
Sì, lo è. Ci siamo interrogati tanto sulla questione del teatro rispetto alla politica e a ciò che è politico. Il teatro già di per sé è uno spazio politico perché porta una rappresentazione e già rappresentare qualcosa è affermarne l’esistenza e quindi è un atto politico. A maggior ragione rappresentare la storia d’amore tra due uomini lo è, anche se qualsiasi storia lo è. Per questo per me è stato molto importante che si esplorassero le dinamiche all’interno di una coppia, che si cercasse di raccontare un amore, la difficoltà di vivere i rapporti con l’altro e che questo avvenisse tra due uomini ma senza necessariamente fare dei proclami politici, senza fare esplicitamente della politica ad altri livelli. Perché appunto già di per sé era un atto politico il fatto di concentrarsi sul raccontare una storia d’amore che fosse la più universale possibile. Inoltre non esistono tante commedie romantiche tra due uomini,  c’è tanta filmografia dove vengono raccontate storie d’amore omosessuale, ma dove spesso l’omosessualità è problematizzata invece quello che volevo fare era proprio spostare il punto e raccontare un amore. Il fatto che sono due uomini diventa politico, ma in teoria non lo è, in teoria è umano.

 

Alla fine hai capito se sei più Billy o più Jessica?
Credo di aver capito di essere una Jessica che vorrebbe essere un Billy.

 

 

Torino       Teatro Gobetti      2 – 14 maggio