Lecce – Aleksandr Sokurov: L’arte vive oltre il tempo, il potere no

«Un animaletto soffice». È così che Aleksandr Sokurov definisce (vede?) il Tempo, magnifica presenza/assenza del suo cinema lungo quarant’anni. Lo dice con una tenerezza palpabile, strana, tanto da farla sembrare un’apparente digressione, una battuta, un pensiero laterale sfuggito durante la bellissima masterclass (coordinata da Massimo Causo e Aliona Shumakova) al multisala Massimo di Lecce per il Festival del Cinema Europeo che, per la sua ventesima edizione, ha deciso di omaggiare proprio il maestro siberiano con l’Ulivo d’oro alla carriera e una retrospettiva, curata dallo stesso Causo, di alcune fra le sue opere più elevate, affiancate dalla proiezione di A Russian Youth, girato da Alexander Zolotukhin, suo allievo. Un viaggio, dunque, tra i legami di Madre e figlio e Padre e figlio, nel piano sequenza ipnotico dell’Arca russa e nel suo contrario eppur speculare Francofonia, nel sentimento di Alexandra, nella tetralogia del potere di Moloch, Toro, Il sole e Faust. Le immagini dei suoi film, le parole del suo essere uomo e artista. Parole che assomigliano molto a quelle immagini, come fossero particelle misteriose di una memoria individuale e collettiva, perfino sconosciuta ma che riusciamo a sentire. Che pensano sempre molto più di ciò che affermano e sono come i suoi film, dove vedere è perdersi in una dimensione inconoscibile. Parole di una giornata molto particolare a Lecce con questo straordinario Protagonista del cinema europeo, tra una masterclass, una conferenza stampa e l’incontro serale di premiazione impreziosito da una conversazione con Marco Müller (che Sokurov ha più volte definito il suo «mentore» insieme a Tarkovskij). Qui di seguito alcuni estratti sparsi e fusi, separati e incrociati, donati dal grande maestro russo, frammenti di un discorso sul Cinema, sulla Storia, sull’Arte, l’Uomo e il Mondo. Discorso di chi cammina oggi con una stampella e si domanda: «Ho sempre pensato alle immagini dei miei film come alle mie gambe; la loro musica è invece la mia anima. Ma adesso che zoppico che ne sarà di quelle immagini?».

 

 

Il carattere del potere

Il carattere è quanto di più enigmatico l’Uomo possieda. A cosa serve a un imperatore e a cosa serve a un uomo piccolo? Forse per il primo è più semplice rispondere, ma per il secondo… E tuttavia non c’è molta differenza: l’imperatore può punire il suo suddito, e il contadino può punire il suo cavallo; possono farlo entrambi con la stessa crudeltà. Il carattere, nella formazione dell’Uomo, e intendo il maschio soprattutto, è parte costitutiva, e non ha nulla di divino. Molto spesso le grandi decisioni non sono frutto dell’intelletto, della ragione, piuttosto il caos storico, politico, sociale rivela la natura spaventosa dell’ingovernabilità del carattere. Quando sale al potere un presidente, un imperatore, non si dà mai peso specifico al carattere. L’imprevedibilità del processo storico è la nostra tragedia. Lenin, Hiroito, Hitler, Mussolini, Stalin sono stati più “persone degli altri”, sono state arcipersone. E più si è potenti, più si riduce la qualità umana. Ogni potente viene consumato e mangiato dalla società, diventa lo specchio di milioni di individui ma non riesce più a riconoscere se stesso. L’intensità della vita dei potenti è disumana, trasforma in un buco nero l’essenza della loro identità. Anche noi russi lo viviamo, con Putin: vive intensamente, migliaia di spostamenti, incontri, riunioni… Ma nessun potente riesce a stare al passo col tempo, resta indietro: Giuseppe Verdi, El Greco, Dante, invece, restano nei secoli.

 

 

Tarkovskij. Ma prima Dovženko

Non sempre si può far risalire tutto a Tarkovskij, che era un grande poeta visionario, ma prima di lui è venuto Dovženko, che dal punto di vista del linguaggio e della psicologia ha fatto ciò che bastava per i cento anni in avanti. Molte cose che Tarkovskij non si è permesso di fare, Dovženko le ha fatte già mentre si era sotto Stalin. Tarkovskij si è ammalato presto. Le mie conversazioni con lui riguardavano sì il cinema ma soprattutto la vita. Aveva tante ossessioni, come quella di essere spiato dal KGB, ed era estremamente invidioso dei colleghi, soprattutto dei coetanei; trovò in me un interlocutore intimo e mi affidò pensieri che non condivideva neanche con sua moglie, credo, men che meno con altri colleghi. È anche vero che i film fatti in URSS non avrebbe potuto realizzarli in Occidente, dove ha girato con mezzi ridotti e dove è stato spesso considerato più come una sorta di profugo politico piuttosto che per il valore della su arte.

 

Il cinema è totalitario

Il cinema è un’arte molto pericolosa, combatte la letteratura, cerca di cancellarla. Lo scrittore dice al lettore: “Leggi, non ti impongo nulla, sei libero, diventa il mio coautore. Nella letteratura, dunque, l’autore nasconde la cosa più importante, nel cinema invece il regista dice tutto, spesso anche perché non ha molto da velare né da mostrare. Il cinema è stato anche un grande regalo al totalitarismo. È come se il tiranno dicesse: “Non dovete pensare a niente, ci penso io”. Ecco, il cinema può fare la stessa cosa. Un regista agli inizi deve capire che sono di più le cose che non può fare rispetto a quello che può fare. E poi, focalizzarsi su omicidi, sull’odio dei figli per i padri, sulla violenza, è come mettere il veleno nel tè di nostro fratello. Dunque, da regista vi dico: non abbandonatevi con fiducia ai film.

 

La superficie del cinema

Il cinema ha una realtà fisica, ha lo schermo che è una superficie geometrica. Tutto ciò che un cineasta crea si distende poi su quella superficie e basta. La pittura ha fatto cose grandiose sulla superficie. Ogni regista e ogni direttore della fotografia devono saperlo che – 3D, 4D o 88D che sia – quella resta una superficie e il film si svolge lì. Devono accettarla, comprenderla, non combatterla. Non bisogna giocare con le dimensioni, ma cercare di raggiungere Rembrandt.

 

Fiction – Non fiction

Non ha alcuna importanza una distinzione, a volte fare documentari è più difficile che fare fiction. La vera questione è: cos’è più affine a te in un determinato momento, ed è da lì che devi cominciare. Certo, devi anche avere le condizioni finanziarie e politiche per poter girare.

 

Comunismo e finanza

Quando vigeva il regime di censura, ogni idea veniva prima setacciata dal Partito, era una norma di vita e ciononostante c’era comunque una certa onestà. Lo stato dichiarava i propri principi ideologici: “Queste sono le regole del gioco, prova a giocare con noi, vediamo se vinci”, diceva. Ora, per certi versi, è anche più complesso dei tempi dello stato totalitario. I comunisti non pensavano al budget, pensavano solo alla coerenza degli autori: o eri pro o eri contro il Partito. Oggi la censura è invece finanziaria ed è ben poco piacevole perché lo Stato può chiederti conto di tutto se il film fallisce. Oggi, nel nostro mondo, la vita di tutti viene tradotta in soldi. L’URSS provò a eliminare il potere del denaro, anche se sappiamo come è andata a finire. La finanza sta uccidendo Cristo e non lo farà neanche risorgere.

 

Canone inverso

La mancanza di canoni nella cultura contemporanea produce un danno notevole, e anche la politica non ha canone, inteso come sistema di limiti. Ma il canone può anche cancellare la possibilità di esprimersi liberamente nell’arte. L’arte nuova però non esiste: può esserci l’uomo nuovo. L’artista deve avere nobiltà, pazienza, delicatezza, un’idea morale: tantissimi cineasti sono però mestieranti, altri sono eccelsi ma dei veri diavoli. Anche il cristianesimo non ha avuto, molte volte, nella sua storia, delicatezza, ma violenza.

 

Il Diavolo e le rovine

Il Genio e il Male sono compatibili. Il Diavolo è geniale, sa tutto e vede tutto, conosce la profondità della vita e della caduta umana. E l’arte può essere anche partecipe della propagazione del Male. Nessuna armata o flotta militare può salvarci. Cosa ricaveremo dalle rovine? Le schegge sopravvissute della cultura, ossia l’unica cosa che non ci lascerà mai, a meno che non arrivi un’apocalisse. Lo scopo finale dell’esistenza di uno Stato dovrebbe essere il sostegno della cultura.

 

Il carattere nazionale e l’Europa

Amo l’Italia, la studio; non sarebbe immaginabile la nostra esistenza nel mondo senza l’Italia. Il mio sostegno si chiama Europa. Non solo quella contemporanea, anzi, mi riferisco soprattutto a quella che ci ha permesso di essere cosa siamo. E io mi sento certamente europeo ma allo stesso tempo c’è una forte “russità” in me. Ritengo ci sia una cosa molto importante che la letteratura russa ci ha donato: è la pazienza, ci ha insegnato il perdono. C’è sempre un elemento nazionale nell’uomo ed è fondamentale, bisogna custodirlo, anche se spesso viene confuso con il nazionalismo. Ma grandi autori come Antonioni, Fellini, Visconti erano profondamente italiani, così come lo era il neorealismo. Oggi vedo pochi film, ma mi piacerebbe conoscere il mondo spirituale di un italiano contemporaneo. Faccio fatica a capirlo. Cosa vede un italiano con gli chiusi in una stanza? Anna Magnani è esistita davvero o ce la siamo inventata? Possiamo incontrarla oggi un’Anna Magnani?

 

Senza artisti in Paradiso (o quasi)

A chi aprirebbe Dio tra gli artisti che dovessero bussare alle porte del Paradiso? Credo ad Anna Magnani, a Dovženko, passerebbe sicuramente Dreyer, Bergman entrerebbe solo previo pentimento (ma dubito si pentirebbe), penso a Victor Kossakovsky: lui però, per fortuna, è ancora tra noi, vive a Berlino. A Fellini spetterebbe di diritto un ruolo nel Consiglio di amministrazione dei Cieli. Io non potrei arrivare a bussare, non lascerebbero avvicinarmi neanche nei paraggi.

 

Il passato è un ritorno al futuro

Dice di essere sempre più stanco di fare cinema: «Molte cose che voglio fare si rivelano poi inaffrontabili. Se non avessi fatto il regista, probabilmente avrei scelto medicina o ingegneria aerospaziale». Intanto, per il padiglione russo della prossima Biennale di Venezia curerà un’installazione ispirata al Ritorno del figliol prodigo di Rembrandt: inaugurazione l’8 maggio. È inoltre in fase produttiva La risata tra le lacrime, documentario sulla Seconda guerra mondiale costruito con immagini di repertorio (anche dell’Istituto Luce) di Hitler, Mussolini, Churchill, Stalin: «Non ci interessano materiali inediti ma una ricostruzione del conflitto attraverso le relazioni umane. Alla base di alcuni eventi disastrosi e tragici ci sono i caratteri delle persone, del potere, e non bisogna cercare all’inferno: lì ci finisce chi uccide un singolo uomo, non chi ne ha uccisi milioni.

Madre e figlio