Paula Beer: in Frantz la storia di una donna che esce dai confini

500Vincitrice al Festival di Venezia del Premio Mastroianni, la 21enne tedesca Paula Beer ha convinto tutti con la sua interpretazione di Anna, la fidanzata del soldato che non è tornato nello splendido Frantz di François Ozon. Il film è il remake di L’uomo che ho ucciso (Broken Lullaby, 1932) di Ernst Lubitsch, che è tratto dalla pièce L’Homme que j’ai tué di Maurice Rostand. Nel testo teatrale il personaggio principale è Adrien (Pierre Niney nella pellicola), giovane reduce parigino che va in Germania per conoscere i genitori del soldato tedesco che ha ucciso. Qui incontra Anna che diviene la protagonista della storia, una donna forte e indipendente, pronta a recarsi a Parigi per scoprire la verità sui suoi sentimenti.

 

Niente Lubitsch

Ozon non ci ha lasciato vedere il film di Ernst Lubitsch. A dire il vero non l’ha visto neanche lui fino a fine riprese. Non voleva che ci influenzasse: come la pièce, quello era un film pacifista girato tanto tanto tempo fa. Noi adesso sappiamo che poi c’è stata un’altra guerra mondiale, che i ragazzi tedeschi e francesi si sono uccisi di nuovo. Piuttosto ha voluto che io e Pierre vedessimo Il nastro bianco di Peter Haneke e, soprattutto, Splendore nell’erba di Elia Kazan, altro film sulla giovinezza dell’amore, sui suoi sogni e la loro fine. Natalie Wood e Warren Beatty sono giovani e bellissimi, si amano, sognano una vita insieme, ma gli elementi esterni li intralciano. Elementi esterni che loro interiorizzano: anche in quel film, è lei che alla fine ha il coraggio di affrontare la verità, cercandolo, andando a casa sua. Il viaggio di Anna: ecco quello che mi piace di lei. Lei va da lui, cerca il suo “grande amore”. Capisce anche, quando lo trova, che è diverso, che qualcosa non va tra loro: lui è bloccato lì, lei invece si mette di nuovo in viaggio.

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Avere vent’anni

Un film in costume, in realtà modernissima. Una storia d’amore. Soprattutto la storia di una donna che esce dai confini del quadro dell’epoca e ha gli slanci, i desideri, i sogni di una ventenne di oggi. Mentre leggevo la sceneggiatura piangevo: Anna è davvero come me. Si fa le mie stesse domande. I suoi pensieri sono i miei. Anche i suoi “blocchi”… I temi del film sono l’onestà, l’amore, la perdita, la menzogna, l’incapacità e poi la capacità di lasciarsi andare. Forse la cosa che più abbiamo in comune è la voglia di vivere: perché che tu abbia 20 anni nel 1919 o nel 2016, la giovinezza è sempre uguale.

 

Io e il personaggio 

Ad entrare nel personaggio mi ha aiutata la sceneggiatura, parlare con François Ozon prima e dopo il set, dialogare su tutto con il mio partner Pierre Niney. E poi i costumi. Io parto dall’esteriorità del personaggio: il modo in cui si veste, si trucca, si pettina, si muove. Come gli abiti la fanno muovere. Tutto questo mi serve per entrare nella testa e nell’animo del personaggio che devo interpretare. Poi mi sono fatta tante domande: come la guerra ha trasformato la sua vita? Come era prima? Quali desideri le ha risvegliato incontrare Adrien?
 
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Il metodo Ozon

Nel film sono arrivata con un provino. Ero in vacanza. La produzione mi ha mandato due scene: il giorno dopo facevo il provino. La mia prima audizione in francese. Non c’era Pierre Niney: c’era François, il regista, che ha recitato quelle due scene con me, mi ha parlato del film, di Anna, di cosa voleva da me. Due settimane dopo mi hanno chiamata a Parigi, per rifare il provino con Pierre: qualche giorno dopo è arrivata la telefonata di François che mi diceva che la parte era mia. È un regista particolarissimo: non ero abituata a uno che mi ripeteva “decidi tu che timbro dare”. Abbiamo parlato molto, ci siamo confrontati.

 

Futuro

Sto lavorando in Germania. Una serie tv e il nuovo film di Florian Henckel von Donnersmarck, il regista Premio Oscar per Le vite degli altri. Un altro viaggio nel tempo, dalla Germania divisa della Guerra Fredda a quella hitleriana degli Anni Trenta.