TFF 68 – Francesco Di Martino: i nativi americani in Val Camonica di Prima che arrivi l’estate

È assodato come il cinema sappia scovare storie incredibili. Non c’e dunque da stupirsi che un documentario metta a fuoco la curiosa vicenda che ha visto prima gli Apache e poi i Lakota frequentare la Val Saviore, splendida estensione laterale della Valle Camonica, decisamente lontana dai luoghi classici dei nativi americani. I quali, per una volta, non sono gli antagonisti di un qualche esemplare fuori tempo massimo di western, nemmeno nella versione spaghetti (genere autoctono in cui, tra l’altro, essi non comparivano quasi mai), bensì i protagonisti di un documentario che rende testimonianza di una storia stratificata e curiosa che impasta resilienza, incontro tra culture, fratellanza, vicinanza di sentire. Sono, questi ultimi, gli ingredienti che compongono Prima che arrivi l’estate, un lungometraggio “no fiction” che il siracusano Francesco Di Martino ha girato tra il 2015 e il 2017 in alcuni centri della Val Camonica, concedendosi pure un’appendice in terra bergamasca (ad Ardesio), oltre che un’emozionante toccata e fuga nella bosniaca Srebrenica. La narrazione ruota attorno alla figura di Italo Bigioli, che a Saviore dell’Adamello (in provincia di Brescia) è l’anima del locale gruppo di Amici della Natura: seguendo le sue esperienze di vita, i suoi interessi e le sue relazioni interpersonali, le immagini (tra cui alcune di repertorio) abbandonano città ed epoche controverse per riempirsi di paesaggi incontaminati e viaggi spirituali, ma pure di “dreamcatcher”, teepee, capanne sudatorie e calumet, aggiungendo infine la sacralità d’oltreoceano a quella millenaria dei Pitoti che abitavano le caverne della zona, la calma rituale degli “Indiani d’America” alla generosità schiva della gente alpina. L’opera, prodotta da SMK Video Factory e distribuita da Open DDB (realtà che in epoca di lockdown si è guadagnata sul campo il primato dello streaming gratuito, mettendo a disposizione di tutti il proprio catalogo) è stata selezionata per il Trento Film Festival, nella sezione Terre Alte: sarà proiettata in prima assoluta il 29 agosto (alle 16.30) al SuperCinema Vittoria del capoluogo trentino, mentre dal giorno successivo risulterà disponibile in streaming (sul sito open.trentofestival.it), al pari di tutti i lungometraggi e i corti della 68ª edizione del TFF (27 agosto – 2 settembre), appuntamento di rango internazionale che inaugura la ripartenza “in presenza” delle kermesse cinematografiche. Abbiamo intervistato il regista del film, Francesco Di Martino, un versatile fotografo freeelance, che si mantiene con i matrimoni e la pubblicità, ma che dal 2000 a oggi ha girato anche una dozzina di apprezzabili lavori documentaristici.

 

 

 

Francesco, qual è la genesi di Prima che arrivi l’estate?

È nato tutto per caso. Ero in tour con Gleno: dove finisce la valle, che ho realizzato in Val di Scalve, nelle vicinanze della Val Camonica. Dopo una presentazione, mi è stato proposto di soggiornare a Saviore per la notte. Proprio lassù, una volta saputo che sono un documentarista, mi è stato detto: «Devi assolutamente conoscere Italo: la sua è una storia davvero speciale». Ero scettico, in verità, perché capita spesso che si sopravvaluti un’esperienza, che la si consideri senz’altro meritevole di essere raccontata per immagini. Ma ho dovuto ricredermi dopo aver incontrato l’uomo in questione.

 

Chi è Italo Bigioli?

Ha un passato nella sinistra extraparlamentare, abbandonata negli anni Settanta, quando maturò l’idea che non ci fossero più mezzi che giustificassero i fini. Si è quindi trasferito a Saviore, dove vive con la compagna Marinella seguendo il naturale ritmo delle stagioni.

 

 

Apache San Carlos e Lakota Sioux Oglagla come ci entrano, in questo film?

Fanno parte delle straordinarie esperienze che Bigioli ha vissuto. L’incontro con gli Apache avvenne a Strasburgo, negli anni Novanta: Italo era andato al Parlamento Europeo, da semplice cittadino, dopo aver raccolto le firme necessarie a salvare una mulattiera dalla cementificazione; gli indigeni d’America erano invece in conflitto addirittura con il Vaticano, perché il Congresso degli Stati Uniti aveva autorizzato la Santa Sede a installare osservatori astronomici nelle riserve indiane dell’Arizona, compreso il Mount Graham, un luogo che essi considerano sacro. Il primo contatto tra Italo e gli Apache si trasformò gradualmente in frequentazione: membri della tribù arrivarono a Saviore per raccontare la “guerra” che stavano combattendo e che infine hanno perduto. Nel frattempo, però, la fama di ospitalità degli Amici della Natura verso le delegazioni native americane si era diffusa tra i diversi popoli: tra le molte cose che ha generato, c’è l’amicizia inossidabile tra Italo e un capo Lakota, Cecil Cross, che condividono la medesima visione della vita, fondata sul principio di connessione tra la natura e tutti gli esseri viventi.

 

Ha avuto difficoltà a calarsi nella cultura millenaria dei nativi americani?

Ho avuto una guida di grande qualità, per fortuna. Accanto a me c’è sempre stata Annalisa Costa, una mediatrice culturale che ha gestito i rapporti con la comunità Lakota durante le riprese del film. Visionando una per una le immagini insieme a Cecil Cross, ha in qualche modo indirizzato anche la scelta delle stesse.

 

La gestazione è stata lunga…

Abbiamo girato tra il 2015 e il 2017, ma ci sono state un paio di code che hanno allungato i tempi. Ci ho poi messo un anno buono per giungere al montaggio definitivo. Inoltre, in questa specifica occasione ho puntato principalmente sull’auto-produzione piuttosto che sul crowfunding, che avevo utilizzato in passato. Quindi ho dovuto cercare i finanziamenti, cosa che non è mai facile… Ma alla fine ce l’abbiamo fatta.

 

 

La struttura del film è articolata. Com’è costruito?

Credo che siano perfettamente riscontrabili tre momenti salienti: quello iniziale, che inquadra il radicale cambiamento di vita messo in atto dal protagonista negli anni Settanta; la fase centrale è la storia di un incontro, che pone sulla stessa strada un uomo della Val Saviore e un popolo di nativi americani; la parte finale mette a fuoco la profonda amicizia che si sviluppa nel tempo tra Italo Bigioli e Cecil Cross, capo dei Lakota Sioux Oglagla.

 

Come si è trovato a girare in Val Camonica?

Ho goduto di un’accoglienza meravigliosa. In loco ho trovato un aiuto-regista prezioso come Matteo Gadola, una piccola troupe affiatata, e pure l’aiuto di un gruppo di studenti universitari. È stata un’esperienza appassionante, durante la quale mi sono sentito a mio agio.


Considera Prima che arrivi l’estate parte di un progetto più ampio?

È il secondo capitolo di una trilogia sulla natura, cominciata nel 2015 con Gleno, e destinata a concludersi con il film che sto girando ora, I colori del silenzio. È ambientato in Veneto, e segue il corso del Sile, il “fiume del silenzio”.