Jane Campion: le persone vanno al cinema come gli iscritti a un club del libro

Jane Campion torna al cinema a distanza di 12 anni con un western, The Power of the Dog – di cui è anche autrice della sceneggiatura – tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Savage del 1967. Ambientato a metà anni 20 in Montana (ma il film è stato girato in Nuova Zelanda) racconta la storia di due fratelli allevatori, il gentile George (Jesse Plemons) e il rude Phil (Benedict Cumberbatch) il cui rapporto viene messo in crisi dall’arrivo di Rose (Kirsten Dunst) che George ha sposato in segreto. Il film, che conta sulla colonna musicale firmata da Jonny Greenwood, è stato prodotto da Netflix e dopo la distribuzione in sala sarà  disponibile in streaming dal 1 dicembre.

 

 

 

 

Dal libro al film
Sono una persona creativa, non ho calcolato la percentuale dei generi. Ho semplicemente pensato: è un libro bellissimo, ha avuto un effetto fortissimo su di me perché ho sempre creduto nel mondo che Thomas Savage descrive e ho viaggiato in profondità nell’ultima parte del suo libro che ho trovato così emozionante. In questo periodo raramente riesco a finire i romanzi i, invece The Power of the Dog mi ha fatto sentire immersa nella storia, ho pensato fosse un ottimo libro ma nelle settimane seguenti i temi trattati continuavano a ripresentarsi, non riuscivo a dimenticarlo. Mi sono resa conto che si tratta di un libro che lavora sulla psiche, una storia davvero diversa, e lentamente ho cominciato a fare un passo dopo l’altro verso la creazione del film, ho parlato con Roger Frappier (uno dei produttori del film, ndr), ho cercato di immaginare se si poteva farlo e lo abbiamo fatto.

 

 

 

Il personaggio di Rose
Come donna è chiaro che mi interessasse molto il ruolo di Rose e volevo amplificarlo per quanto possibile nella storia, tenendo conto che è una donna del 1925 e non è la stessa cosa di oggi. Credo che a quel tempo fosse davvero difficile lamentarsi con il marito del fratello che viveva con loro in casa per la gentilezza insita nel personaggio di Rose, per la sua mancanza di fiducia che le faceva pensare di essere un obiettivo perché sbagliata. In un certo senso la vergogna arriva a un punto in cui non c’è via di uscita, l’unica soluzione che Rose trova è l’alcol. È interessante che Thomas Savage abbia sviluppato con intelligenza il tema dell’isolamento per esempio nella scena in cui entra nel mulino e vedendo suo figlio, piange: sono lacrime che fanno sì che George in parte capisca.

 

Il Montana in Nuova Zelanda
Trovare il Montana del 1925 in Montana sarebbe stato molto più difficile, ma c’è una parte della Nuova Zelanda che è così vuota da fare al caso nostro. Abbiamo girato in un paesaggio straordinario che ti dà quell’immagine fantastica a 360° di spazio vuoto, come essere su una barca sperduta nell’oceano e invece eri in un paesaggio terrestre, il punto più ventoso della Nuova Zelanda che già di suo è un Paese estremamente ventoso ed è stato difficile, ci ha creato diversi problemi, un tempo così estremo per l’isolamento, per il vento che si incanalava tra le colline e addirittura rendeva difficile stare in piedi.

 

 

 

In prima linea
Credo che le donne si stiano comportando molto bene. Una donna Chloe Zhao ha appena vinto l’Oscar, dopo il Leone d’oro al Festival di Venezia dello scorso anno. Se dai loro una possibilità non c’è niente che ferma le donne, lo dico in modo gentile, ma le statistiche ancora non sono a favore delle donne. Credo che tutti si rendano conto che non ci sono abbastanza voci di donne nella narrativa per raccontare come siamo, come sperimentiamo le cose. Perché noi lo facciamo in modo diverso. La voce delle donne è molto più presente in televisione, comunque credo che i tempi siano cambiati, oggi le donne hanno più coraggio, più sostegno non soltanto dalle altre donne, ma anche dal mondo maschile perché ci si rende conto di quanto la situazione fosse ingiusta e ci fossero disuguaglianze.

 

Ritorno al cinema
Mi è piaciuto molto lavorare con le serie tv, la coscrittura, la coregia che è richiesta da questo tipo di lavoro… La cosa che mi piace delle serie è creare un mondo, una tonalità e svilupparla sempre più. Avevo però voglia di tornare alla disciplina, al rigore del cinema e mi ha reso felice tornare alla mia libertà espressiva al cinema.

 

Netflix
Netflix è una grande piattaforma e mi ha permesso di scegliere che tipo di produzione fare. Una degli aspetti fantastici del lavorare con Netflix è che ti danno la possibilità di lavorare con un bilancio che non avrei potuto avere in altra situazione, ti danno libertà di espressione e di questo sono grata. Fortunatamente danno valore all’aspetto artistico del lavoro ed è una cosa straordinaria. Abbiamo la possibilità di vedere il film anche nei cinema, ci sono finestre di settimane prima che vada online e comunque rimarrà disponibile in sala. Le persone possono così scegliere di vedere The Power of the Dog al cinema (ormai vedo le persone che vanno al cinema come gli iscritti a un club del libro in un certo senso). Comunque uno dei motivi per cui ho voluto raccontare questa storia è perché credevo fosse giusta per il cinema, che valesse la pena raccontarla e che la gente pensasse valesse la pena andare al cinema a vederla. C’è un grande desiderio di dare un feedback all’ispirazione iniziale.