Amor di cinema: l’Educazione parigina di Jean Paul Civeyrac

Il bianco e nero è garrelliano, un po’ come la pesantezza dei corpi, che trascinano la loro fisicità per le strade di Parigi come se ogni passo fosse uno scontro perenne con l’irresolutezza del loro spirito. Con Un’educazione parigina Jean Paul Civeyrac fa il suo film più nouvelle vague, lui che della generazione francese dei registi cinquantenni è il più a latere, quello più introflesso, crepuscolare, il meno sofisticato e il meno sfacciato nel gestire il rapporto di dipendenza tra vita e cinema. Mes provinciales, il titolo originale con cui nel 2018 fu presentato in Concorso all’ultima Berlinale dell’era Kosslick, dice molto del tono di estraneità con cui il film si confronta con lo spettro di Parigi, riflesso autobiografico di un autore che nella capitale ci è arrivato dalla lumieriana Lione, con studi di filosofia in tasca e un amore per il cinema che lo ha spinto a La Fémis ( École Nationale Supérieure des Métiers de l’Image et du Son). Un po’ come Etienne, il protagonista del film, studente di cinema all’Università Paris V, alle spalle una vita in provincia, genitori e una ragazza, che ben presto lascerà scorrere tra le dita del ritmo parigino. La sua ritrosia, l’introversione che lo oppone alla protervia parigina è la chiave di volta della dolcezza del film, approccio molto personale di un regista come Civeyrac, che ha sempre preferito il sottotono, la contemplazione in trasparenza, l’accesso alla verità psicologica dei suoi personaggi mediato dall’ascolto.

 

 

Etienne si muove tra i colleghi di studio con l’impacciata pesantezza del suo corpo, schivando le folate d’aria che alzano gli altri. Ma è il cinema lo spettro che filtra ogni sua azione e reazione: il sogno di farlo, la necessità di studiarlo, il timore di condividerlo con gli altri, ognuno folle della sua passione. Come Jean-Noël, che per primo si avvicina a lui, e soprattutto Mathias, tenuto da tutti per un genio scontroso e troppo sicuro di sé, della sua fede nella purezza del Cinema. Tutto questo mentre sulla pagina a fronte della sua vita Etienne traduce l’amore per il cinema nell’amore per le donne: nulla di drammatico, nemmeno la rottura con la sua prima ragazza lasciata in provincia, siamo piuttosto sul versante di una abitudine sentimentale che scolora ogni volta nella consapevolezza della fluidità dei sentimenti di fronte al rigore dell’esistere. Un’educazione parigina è così, un flusso di coscienza cinematografica che, se anche solo un poco si è innamorati del Cinema, diventa un riflesso affascinante, quasi ipnotico: scorre con docile attrazione, capisci che è l’adattamento contemporaneo di un modus applicato fedelmente ma non pedissequamente. Ci sono alcuni passaggi che risultano irresistibili all’orecchio cinefilo (le lezione su Dario Argento con la prolusione dello studente sulla grandezza di Lenzi & Co. è fantastica, almeno quanto tutte le tirate di Mathias a favore della purezza del cinema). Ma va detto che, per quanto sia tutto un fermento che Civeyrac condivide, il suo film in realtà porta tutto in direzione di una nostalgia amara del vivere la quotidianità, verso un sentimento della realtà che sta tra Pascal e Pasolini, tra l’irresolutezza consapevole e l’urlo razionale. Tra lo sguardo puntato sulla finestra, su quei tetti che sembrano quasi una primordiale veduta niépceiana, e l’abbandono sul divano alla disfatta del tempo, accompagnato da un viscontiano malore mahleriano…

 

Un’educazione parigina è disponibile in VOD sul sito CGdigital.it e sulle principali piattaforme grazie a Fil Rouge Media.

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