In una terra di nessuno a sud est di Londra, Bailey (Nikiya Adams), dodici anni, osserva il mondo attraverso il suo smartphone, per poi proiettare sul soffitto le immagini che registra, che siano uccelli in volo, farfalle o uomini da sorvegliare. Vive in uno squat con il giovane padre Bug (Barry Keoghan), eccitato per il matrimonio imminente che finanzierà con l’allucinogeno prodotto dal rospo americano che ha appena acquistato. Con loro c’è anche Hunter (Jason Buda), che Bug ha avuto a quattordici anni, anche lui probabilmente destinato a una paternità molto precoce. Bailey avrebbe anche una madre, Peyton (Jasmine Robson), che, non distante, trascura i tre piccoli fratelli di Bailey per cercare appoggio in un uomo violento. Il rovesciamento tra generazioni è evidente ed insistito, in questa favola suburbana in cui i più piccoli mettono una toppa ai casini degli adulti, incapaci, dipendenti, infantili. All’arrivo della sua prima mestruazione, per dire, Bailey è rassicurata dalla nuova compagna di Bug, che le offre uno dei suoi antidolorifici e le dice “non morirai”.
In questo bagno di realtà cruda – forse troppo cruda, per alcuni, o Too real, come urlano i Fontaines D.C. sulla sequenza con padre e figlia in monopattino elettrico – plana Bird (Franz Rogowski), alieno in cerca della figura paterna. Mezzo uomo, mezzo uccello, figura che accompagna Bailey nella sua adolescenza, che ha inizio con il classico taglio di capelli. I due stringono un’alleanza invisibile, che dà loro reciproca forza e fiducia, in uno scenario degradato. In concorso a Cannes 77, Bird è un film post-post-punk, che si immerge nello squallore non per stupire o denunciarlo ma anzi per restituirne l’energia, il primal scream degli irregolari (Adams, Keoghan e Rogowski sono davvero irresistibili), allargando il concetto di famiglia umana ad altre specie. La regia di Arnold è concreta, dinamica, lo schermo si moltiplica anche in tre, i misurati effetti speciali funzionano. Ma il tema zoologico che attraversa il film (chi ricorda Cow?), dalla tuta maculata che Bailey non vuole indossare fino alla volpe che piomba al matrimonio, è calato in maniera troppo programmatica perché l’illusione di armonia tra i due mondi risulti credibile.