Cannes 71 – L’inutile trucco perfetto delle guerrigliere di Les filles du soleil di Eva Husson

Una giornalista di guerra francese (Emmanuelle Bercot), inviata al confine tra Turchia e Kurdistan, con alle spalle un trauma e un lutto recente, decide di unirsi a un gruppo di guerrigliere curde che difende, con coraggio e pochi mezzi, il proprio territorio dall’avanzata dell’ISIS per raccontare la loro storia. Mathilde ha una benda sull’occhio, come Capitan Harlock, ma grazie all’incontro con questo manipolo di coraggiose combattenti forse imparerà a vedere più a fondo nelle tragedie del mondo che racconta. Il suo centro di interesse è Bahar (Golshifteh Farahani), una giovane donna dal passato segnato e dal futuro incerto, che con passione si dedica anima e corpo a questa guerra “giusta”. Nella sinossi ufficiale del film si dichiara, con enfasi melodrammatica, che«da quando le loro vite sono state stravolte, stanno tutte combattendo per la stessa causa: le donne, la vita, la libertà». Insomma, in Les filles du soleil, opera seconda della francese Eva Husson, non a caso scelta per la storica montée des marches di attrici e registe in nome della parità di genere, c’è il Tema forte: la questione femminile, la crisi mediorientale, l’autodeterminazione e via dicendo.

Purtroppo il film (in concorso) si esaurisce nella sinossi, si avvita nelle sue intenzioni, senza riuscire a costruire con convinzione un racconto, a cesellare i personaggi, a superare una basica rozzezza di stile e contenuti. Les filles du soleil non si eleva mai da un monocorde registro melodrammatico, utilizza i didascalici flashback come una clava narrativa, espone la fotografia e i suoi contrasti come sottolineatura plastica alla ricerca di un “bello” inutile, se non del tutto fuori luogo. L’eccitazione ideologica con cui racconta le sue soldatesse non assume mai un senso né spettacolare né ideologico. E se Bercot disegna un personaggio di reporter dal fronte che sembra vecchio di trent’anni (ignaro di cinema e letteratura che hanno lavorato sul canone), Farahani risplende inutilmente in trincea della sua bellezza, in maniera quasi ridicola, costretta alla macchietta con il trucco perfetto e le elegantissime sciarpe-copricapo. Les filles du soleil, purtroppo, non riesce neanche a essere didattico nella sua ostentazione di buona volontà, nella sua ricerca della patina, nel suo ridurre il nocciolo della questione a una tiritera di tramonti e brutalità, di sofferenza e dedizione che finiscono per risultare posticci, zoppicanti, bidimensionali. Tradita dall’ansia della buona causa, Husson ne esce con le ossa rotte, schiacciata dal peso dell’ambizione di voler fare un affresco metaforico (e un omaggio a delle eroiche combattenti per la libertà, non solo del Kurdistan) e finendo invece per dipingere un bozzetto sbiadito, sbagliato, clamorosamente indigesto.