Titane e la femminilità meccanica della Ducournau

La placca di titanio saldata al cranio se l’è procurata dando il tormento al padre al volante e causando il testacoda che l’ha ferita. Il suo nome è Alexia e nasce così al film di cui è protagonista, Titane, opera seconda della francese Julie Julia Ducournau improvvidamente posta nel Concorso di Cannes 74 nella sovrabbondante quota francese. Alexia, che ha la presenza scenica spigolosa di Agathe Rousselle, è una sorta di corpo ibrido: la ritroviamo ormai donna che danza sensualmente sul tetto di un’auto cromata, in un rave di cui è una delle star, ma ben presto apprendiamo che è anche una killer seriale, intenta a far fuori ogni persona da cui è attratta. Ma non è tutto, perché in una torsione fantasy del plot Alexia si fa anche ingravidare dall’auto su cui ha danzato e si ritrova in ventre una creatura meccanica che fa perdere olio al suo corpo…Insomma Titane sbarella trucemente tra il fantasy psicotico e i cascami da horror cyberpunk, impuntandosi sulla pochezza estetica di un progetto derivativo e inconcludente, figlio del peggiore cinema muscolare francese (qui in versione femminile).

 

 

Un pasticcio che non sta in piedi concettualmente ed esteticamente, prima ancora che narrativamente. Messa da parte, infatti, la Alexia serial killer, la Ducournau affida la sua protagonista alle cure di Vincent Lindon, che qui spreca la sua consueta generosità per il personaggio di un improbabile capo dei pompieri pompato di anabolizzanti e vessato dal tormentato ricordo del figlioletto scomparso anni addietro. Venerato come un padre dai giovani della sua squadra, l’uomo accoglie Alexia che, per sfuggire alla polizia, s’è tagliata i capelli, ha fasciato petto e ventre e si è spacciata per il redivivo ragazzino scomparso. Ne consegue delirio psicotico affettivo con venature incestuose e paternità surrogata ad accogliere nel finale il meccanico nascituro scaturito infine dal ventre della ragazza…
Facile farsi gabbare da letture orientate verso la nuova femminilità, la maternità transgender, l’inclusione della natura ibrida dei viventi: in realtà Titane è solo il classico esempio di una estetica fascistizzante, frutto di una malintesa autorialità estrogenata e nutrito da una magniloquenza stilistica insostenibile. Al momento il punto più basso (e ingiustificabile) di un Concorso nettamente deludente.