Cannes77 – Le pulsioni primarie di Motel Destino di Karim Aïnouz

Nello stato del Ceará, nel nordest del Brasile, fa sempre caldo, 30 gradi tutto l’anno. Le scogliere, le spiagge, il mare cristallino sono gli elementi naturali in cui crescono, apparentemente felici nonostante la scia di drammi familiari alle spalle, Heraldo e Jorge, fratelli ma non solo, abituati a farsi forza l’un l’altro nella fatica del loro quotidiano. Heraldo ha il sogno di fuggire e andare a costruirsi un’esistenza nuova a São Paulo per aprirsi un’officina tutta sua. Il problema è che la loro vita è legata alla piccola criminalità locale e la boss Bambina, pittrice a tempo perso, concede a Heraldo l’ipotesi di libertà solo dopo aver ucciso, con suo fratello, un creditore insolvente. Il giovane accetta, ma la sera prima del programmato omicidio rimorchia una sconosciuta a una festa di strada che lo trascina, per una notte di sesso, in uno squallido motel delle vicinanze, meta per amanti fugaci e palcoscenico di avventure erotiche i cui ansimi riecheggiano nei corridoi. La notte passa, la donna scompare e Heraldo si ritrova chiuso in una stanza, ormai in ritardo per l’appuntamento. Quando arriverà sul luogo prestabilito troverà la vittima in piena salute e il fratello morto sull’asfalto: gli sgherri di Bambina sono già sulle sue tracce e l’unica idea che gli viene in mente è quella di cercare rifugio nel sordido albergo, offrendo un aiuto per la gestione del locale in cambio di alloggio e protezione. Motel Destino vede il ritorno di Karim Aïnouz nel natìo Brasile – anzi, nella sua regione d’origine – dopo l’escursione regal-britannica di Firebrand. Aïnouz costruisce un incipit tipicamente neo-noir – un uomo in fuga da una banda criminale a cui deve il fallimento di un’operazione – per poi trasformarsi rapidamente in un’ossessione erotica vissuta all’interno di un luogo concentrazionario per quanto senza regole.

 

 

Il Motel Destino è infatti un labirinto di sessualità, dove la gente va solo per consumare feroci amplessi che tracimano in ogni anfratto, estendendo il loro potere anche agli animali (gatti, asini, serpenti) dell’inquietante Elias, gestore del luogo assieme alla moglie Dayana. Un sesso secco, tangibile, senza desiderio è quello che si consuma nelle suite del Destino: un atto asettico e reiterato che informa l’anima stessa del posto. Presto Heraldo si abitua a quella forma ibrida di prigionia: aggiusta l’aria condizionata senza la quale il motel è un forno, stringe un legame ambiguo con la coppia e si ritrova a essere il vertice di un triangolo fatto di ostentata sensualità e di rivendicazione del potere. Dayana cede presto alle gioie del sesso con il giovane, mente Elias, perennemente ubriaco, alza ulteriormente la temperatura della tensione tra scatti di libidine ed esplosioni d’ira. In una variante ultrasessuata del Postino suona sempre due volte, Heraldo e Dayana dovranno capire come liberarsi da quell’uomo potenzialmente fatale, da quello scacco matto alla loro libertà. Aïnouz racconta la sua storia ambientandola quasi in un unico ambiente, gioca smaccatamente con una palette di colori che alterna blu e rosso – a cui in maniera fin troppo stucchevole abbina i colori di luci e vestiti – vivificati ed elettrificati dalla fotografia al neon di Hélène Louvart, indugia sulle scene di sesso con naturalismo marcato, sottolinea la temperatura elevata del racconto mettendo in scena corpi sempre nudi e sudati.
 

 

Motel Destino (in concorso a Cannes77) è un film che si fonda su elementi e pulsioni primarie: un sesso meccanico, una giostra dei sentimenti ferina, un’antitesi tra acqua e fuoco – la piscina dove trovare refrigerio e le fiamme in cui i cadaveri incidentali che si susseguono nel procedere della trama trovano la loro fine naturale – che si rivela presto una trovata ripetitiva e meccanica. La ricerca di una rappresentazione pervasiva dell’atto sessuale si riduce a una continua sequela di amplessi e gridolini d’estasi (la vera colonna sonora del film) che uniscono in maniera monocorde il dentro e il fuori campo. Motel Destino dimentica troppo in fretta la sua premessa noir e semplicizza banalmente il suo lato mélo, restando un ibrido un po’ inerte nel quale la bidimensionalità dei personaggi tende a rinsecchirsi. È lontano, per Aïnouz, il tempo di quel sentimentalismo sporco e ribollente che animava il suo La vita invisibile di Eurídice Gusmão: in Motel Destino il sesso e gli amori appaiono anodini, freddi nonostante il clima afoso dell’emotività che vorrebbe perseguire. E a questi personaggi in cerca di un’impossibile felicità – i laidi e i reietti, gli amanti e gli sconfitti – non riusciamo a voler bene.