Come nasce un re del terrore: Diabolik – Chi sei? di Marco e Antonio Manetti

Si chiude con Diabolik – Chi sei?, forse l’episodio più intrigante, la trilogia che i Manetti Bros hanno dedicato al “re del terrore” del fumetto italiano, inaugurata con Diabolik (2021) e proseguita con Diabolik – Ginko all’attacco! (2022). Liberamente ispirato all’albo numero 107 del fumetto ideato nel 1962 dalle sorelle Angela e Luciana Giussani, il film mette a confronto in maniera insolita i due antagonisti per eccellenza, Diabolik e l’ispettore Ginko. I quali, per motivi diversi ma con tempi alfine coincidenti, si ritrovano prigionieri di una banda di malviventi che ha messo a ferro e fuoco Clerville, e che il primo voleva ovviamente derubare, il secondo catturare. Mentre il fido sergente Palmer segue una pista che non gli porterà fortuna e le rispettive amanti degli acerrimi rivali – Eva Kant e Altea di Vallenberg – si alleano per cercare il modo di liberare i propri uomini, questi sono incatenati nella cantina di una tenuta fuori città. Con la prospettiva di essere eliminato al giungere dell’alba, Diabolik si lascia andare a un’inedita confessione, raccontando al poliziotto la genesi misteriosa della sua spietata traiettoria criminale. È uno svelarsi senza reticenze, come se non ci fosse un domani, anche se poi la notte offrirà a entrambi nuove prospettive. Diabolik secondo i Manetti si conferma un’intuizione di algida genialità, per nulla interessata da un’adesione ai modelli narrativi delle crime-story o dell’action contemporanei, ostentatamente fuori moda. I registi hanno disegnato un universo di fantasia che riproduce con altissima precisione filologica gli ambienti, l’atmosfera, l’impianto scenografico e perfino la scansione delle tavole originali del fumetto, in questa occasione completandone idealmente la storia, attraverso un episodio che riproduce un albo tra i più noti, pubblicato nel 1982.

 

 

Così sviscerando in profondità un personaggio che avrebbe potuto essere ulteriormente raccontato solo cedendo alle lusinghe di una serialità più spinta, la quale avrebbe tuttavia annacquato lo slancio rivelatore, il fascino della scoperta: una volta di più, tre pare il numero giusto. Se i primi due episodi avevano un’ambientazione anni Sessanta, qui l’azione è chiaramente collocata nei (tardi) Settanta, rendendo quindi esplicito il frullato dei filoni di genere (poliziottesco, polar, thriller), amplificato dalla scelta di Aldo e Pivio De Scalzi – autori della colonna sonora dell’intera trilogia – di affidarsi a un potente graffio del curioso connubio formato da Calibro 35 e Alan Sorrenti (che in questa veste si erano proposti anche per il Festival di Sanremo, senza purtroppo convincere il conduttore Amadeus), per offrire una caratterizzazione ancor più marcata. In Diabolik: chi sei? si capisce meglio anche il senso della sostituzione di Luca Marinelli con Giacomo Gianniotti, avvenuta dopo il primo episodio. Sul piano dell’espressività non c’è confronto, ma l’indiscussa bravura e la nervosa intensità interpretativa dell’attore romano avevano rappresentato un elemento dissonante rispetto alla esibita, elegante, fissità della messa in scena.

 

 

Un’increspatura rientrata grazie all’impiego dell’italo-canadese Gianniotti, che ha preso sempre più fiducia, uscendo dall’anonimato, ma rimanendo assolutamente omogeneo all’insieme. Impeccabile il resto del cast, da una Miriam Leone luminosamente dominante, al “sacrificato” Piergiorgio Bellocchio, alla sofisticata Monica Bellucci (in un ruolo che sembra scritto per lei), all’azzeccatissimo Valerio Mastandrea. È al Ginko mirabilmente incarnato da quest’ultimo, disilluso ma infine disposto a rendere platealmente manifesto il sentimento nei confronti di Altea, che i Manetti affidano una personalissima digressione rispetto all’originale, tocco conclusivo che lo sublima senza tradirlo.