Comunità, proprietà, radici: Alcarràs di Carla Simón

Se il sole fosse un bracciante non si alzerebbe così presto
Se il marchese dovesse trebbiare saremmo morti di fame
Io non canto per la voce, né per l’alba del nuovo giorno
Io canto per il mio amico che ha perso la vita per me
Canto per la mia terra solida, amata

 

 

In campo lunghissimo, un casolare immerso in una campagna lussureggiante e calda. Ad Alcarràs, in Catalogna, la famiglia Solé si mantiene coltivando, raccogliendo e vendendo i frutti degli alberi di pesco. Mentre i tre  piccoli cugini (Ines, Pere e Pau) giocano dentro una vecchia auto, si accorgono di alcuni operai che stanno installando dei pannelli solari sui terreni limitrofi. Come molti altri, nella zona, il loro vicino, erede della famiglia Pinyol, ha deciso di sostituirli alle coltivazioni. Il padre dei tre fratelli Solé, Rogelio, molti anni addietro ha avuto dai Pinyol quei terreni da coltivare tramite un accordo verbale, fiduciario, di cui non esiste traccia scritta. Quindi, nonostante lo abbia curato e tenuto fertile per anni, oggi non può rivendicarne la proprietà, né decidere della destinazione. I tre figli di Rogelio hanno posizioni diverse su questo cambiamento epocale, che inevitabilmente scompensa gli equilibri familiari.

 

 

Lo sguardo di Carla Simón (Barcellona, 1986), sospeso tra documentario e accurata direzione degli attori, non era passato inosservato, nel suo luminoso esordio, Estate 1993, alla Berlinale in Generation KPlus nel 2017. Candidato spagnolo all’Oscar, rivelava una capacità fuori dall’ordinario di percepire e allo stesso tempo stare un passo indietro, come in osservazione da non visti, sulla famiglia. In quel caso, una giovane coppia con figlia piccola che accoglie, adottandola, la nipote seienne di lui, rimasta orfana. Ambientato anche quello nella provincia catalana, l’autobiografico Estate 1993 era un affascinante studio di psicologie infantili e adulte a confronto. Le immagini di bambini che giocano tra di loro, non osservati dagli adulti, quel tempo espanso, che lascia spazio al silenzio e all’immaginazione, torna quasi identico nell’apertura di Alcarràs, Orso d’oro a Berlino 2022. Una coproduzione italo-spagnola – della Kino produzioni di Giovanni Pompili. Non è un caso, viste le analogie culturali ed economiche tra i luoghi in cui il film è ambientato e le zone rurali del nostro Paese. 

 

 

 

 

Nonostante gli allarmi ecologisti e le preoccupazioni sul clima, interessano davvero a pochi le implicazioni della vita agricola, oggi, e il cinema se ne occupa raramente. Motivo in più per non perdersi questo gioiello, che tra le tante cose, suggerisce un rapporto “paritario”, di rispetto, tra uomo e animali. E che in maniera intelligente contrappone, senza forzare sui contrasti, ma fornendo più punti di vista, l’alternativa di dismettere l’esercizio dell’agricoltura in favore di un reddito dato da fonti di energia alternative e teoricamente “pulite”. A cosa rinuncia, cosa perde la famiglia Solé, rassegnandosi alla sua ultima estate di raccolto? È un progresso o un regresso? Cos’è il progresso? È giusto opporsi? Chi regola il prezzo dei frutti della terra? Chi la lavora e chi ci guadagna? Che cosa resta delle esperienze degli antenati, dei patti non scritti, della solidarietà in tempi difficili? Nel rappresentare un gruppo di famiglia che di volta in volta si dimostra tenero, rabbioso, coeso e discorde, è su questi temi che Alcarràs, con stile molto discreto e metodo indiretto, chiede di interrogarsi. Simón cattura e restituisce il passaggio tra due mondi: quello in cui un cestino di fichi o una cassetta di frutta rappresentavano il più bel messaggio di amicizia e di armonia sociale, e quello in cui le stesse persone che coltivano quella frutta sono costrette, per protesta, a distruggerla. Ammirevole la composizione del cast di non professionisti (meravigliosi il nonno Rogelio e il capofamiglia Quimet, uomo-toro dalle debolezze non nascoste), individuato dopo migliaia di provini e sei mesi di selezione. Va anche sottolineata la straordinaria capacità della regista di filmare i bambini, non come figure angelicate ma come osservatori e replicatori di tensioni, ambivalenze. Partendo da un soggetto autobiografico, un microcosmo molto precisamente localizzato, Alcarràs tocca temi universali, scomodi, nascosti o meglio ignorati dai più, e contemporaneamente sa immergere lo spettatori in legami affettivi altrettanto invisibili. Nel senso profondo di cosa voglia dire comunità, “consorzio”. Da non perdere. 

 

 

L’elenco delle sale in cui I Wonder distribuisce Alcarràs