La saga di Rocky appartiene a Sylvester Stallone. Non solo perché ne veste, ovviamente, i panni, ma proprio perché è sempre lui a nutrirla, con nuovi progetti, script, regie e interpretazioni. Per questo motivo, quando vediamo gli ultimi capitoli del reboot attuale, non vediamo Sly nei panni di Rocky, ma nei panni di se stesso. Creed II prende le mosse esattamente dove il primo capitolo ci aveva lasciati, non tanto a livello narrativo, quanto sul piano tematico. Sono passati tanti anni dai fasti dello stallone italiano, forse troppi. Eppure si sa, chi è innamorato difficilmente riesce a staccarsi dall’amore della sua vita. Creed – Nato per combattere era un progetto probabilmente più calcolato e trattenuto rispetto al suo seguito. Là Stallone doveva inventarsi qualcosa per tornare sulla scena del crimine, per giustificare la sua presenza vicino al ring e unire passato e presente in un unico, caloroso, abbraccio. Là doveva accontentare vecchi fans così come giovani neofiti attratti dal blasone della saga, in quello che per volti versi è stato più un remake che un reboot.
Qui invece il discorso è molto diverso. Creed II è una dichiarazione d’amore tanto sincera quanto imperfetta. Non si tratta di un’operazione con doppi fini, è l’emozione che viene ricercata per tutta la durata dei suoi minuti. Rocky (si legga Stallone) ormai è talmente poco considerato da non riuscire nemmeno a far riparare la lampadina di un lampione: un anziano malinconico che sembra voler dire addio a un certo mondo, ma è proprio quel mondo che andrà a ripescarlo per chiedergli un ultimo ingresso in scena. Questa è la più classica delle scuse di chi non è mai stato capace di dire addio alle sue passioni, ai suoi impulsi emotivi. Con il pretesto di un pubblico sempre pronto a seguirlo e nuovamente assetato di cazzotti, Stallone non abbandona Rocky e lo fa rivivere marginalmente, a bordo del ring. Lo mette in crisi facendogli fare i conti con il lutto, una nuova nascita, la sconfitta e la sete di vendetta. Creed II non racconta lo scontro tra il figlio di Apollo e di Ivan Drago. Tutti sappiamo ancora prima di iniziare come andrà a finire il match, inutile mentire. Creed II racconta di come, nonostante un copione del tutto prevedibile e già visto, noi (esattamente come Sly) siamo ancora lì, a bordo di quel ring, inneggiando i nostri eroi. Ecco spiegati i motivi per cui sarebbe sbagliato, o quanto meno inutile, approcciarsi a questo lavoro con uno sguardo razionale e freddo. Tutto il film non è nient’altro che una questione di cuore, proprio come dimostra la tanto retorica quanto indispensabile corsa tra padre e figlio Drago in chiusura del lavoro. Lo stallone italiano ha appeso i guantoni al chiodo, lo Stallone americano non riesce ancora ad abituarsi all’idea. Per fortuna.