Ernest e Celestine. L’avventura delle 7 note di Jean-Christophe Roger e Julien Chheng: un inno alla vita

«Così è e sempre sarà» come esclama l’orso Ernest in risposta ai tanti perché della topina Celestine. Un monito rivolto anche gli spettatori, ovviamente, che esplicita il sottotesto politico a cui tende questo secondo capitolo cinematografico (prodotto dalla Folivari di Damien e Didier Brunner, già produttori del primo capitolo e pure della saga televisiva) tratto dall’opera gentile di Gabrielle Vincent, firmato dalla coppia di registi Jean-Christophe Roger e Julien Chheng, ma anche una rivelazione, quella dell’eredità educativa monolitica ricevuta dall’orso in Ostrogallia, suo paese d’origine in cui si svolge gran parte della vicenda. D’altronde qui la frase suona come un mantra, un comandamento assoluto, retaggio di un’ideologia che mette a fuoco non solo i suoi abitanti destinati a non uscire dai binari della propria esistenza stabiliti da chi li ha preceduti ma pure scolpisce un sistema di giustizia che regola il mondo, e quindi uno sguardo, uno modo di vedere la realtà, pesarla, misurarla, ricostruirla, mediarla. Qui si suona il pianoforte con un solo tasto. Analogamente a quanto accadeva a Celestine nel primo capitolo, costretta a fare i conti con la propria identità ma pure con la difficile impresa di difendere tanto la propria passione di disegnatrice quanto la speciale amicizia con l’orso, in questo nuovo episodio della saga si viene trasportati nell’universo di Ernest e in un continuo gioco di gag, equivoci, mascheramenti e fughe a perdifiato ci si ritrova a risolvere un fitto mistero. Cosa ci fanno quindi Ernest e Celestine in Ostrogallia? Riusciranno i nostri eroi dal cuore d’oro a resistere alle prepotenze dei nemici che impediscono qualsiasi forma di svago e libertà? Ma soprattutto, che fine hanno fatto le note mancanti della scala musicale? Perché di questo si tratta: la perdita della musica, che è movimento, creatività, ritmo, vita.

 

 

Tutto inizia al termine del letargo di Ernest. Quando si sveglia, Celestine lo invita a riprendere il violino per tornare a suonare ma inaspettatamente lo strumento si rompe. Per ripararlo Ernest e Celestine iniziano un viaggio verso il lontano paese natale dell’orso, una terra magica dove da sempre si esibiscono i migliori musicisti del mondo e incredibili melodie riempiono l’aria di gioia. Tuttavia, al loro arrivo, i nostri eroi scoprono una realtà completamente trasformata e impoverita in cui tutte le forme di musica sono state bandite. A far rispettare le regole ci pensa soprattutto il rigidissimo giudice, papà dello stesso Ernest, il quale cerca in tutti i modi di portare il figlio della sua parte. Ma chi è, invece, il misterioso eroe mascherano che sfida l’editto e spinge la popolazione a liberarsi dal gioco del potere?

 

 

Il film diventa ben presto l’opportunità per raccontare in modo semplice, efficace e mai banale, qualcosa di fondamentale per piccoli e grandi spettatori: come ricorda l’esperienza maturata dall’orso Ernest, esiliato che insegue il desiderio di diventare musicista di strada rifiutandosi di diventare giudice, la musica è uno spazio di libertà ma anche un tempo prezioso di pace e creatività che per questo deve essere difeso a tutti i costi. Un inno alla vita, contro la violenza, che esalta la gentilezza e trova la sua giusta dimensione nell’equilibrio generato dal rapporto tra forme armoniche e tonalità lievi dell’acquerello, tra colori caldi e linee morbide, tra paesaggi che incontrano montagne innevate, prati verdi, paesi arroccati che sembrano uscire da una cartolina (o da un film di Miyazaki, come Laputa per esempio) e la leggerezza di una sinfonia che avvolge il tutto in un’atmosfera sospesa, incantata e nostalgica. E in questa ricostruzione poetica, che non manca di invocare l’attualità, il film non solo appaga lo sguardo ma diverte pure innescando una serie pirotecnica di inseguimenti rocamboleschi, svelamenti improvvisi, colpi di scena e gag dal pieno gusto cinematografico capaci di strappare molto risate come nella esilarante scena della discesa sulla neve o in quella in cui i tralicci della funivia a cui si appendono i personaggi si trasformano nelle linee di una partitura musicale. Ernest e Celestine mettono in scena uno spettacolo così bello e così puro da riuscire a fronteggiare lo squallore di una dittatura che omologa nel gusto e nelle scelte. Riusciranno a realizzare la loro impresa perché «chi cerca le note troverà la melodia. Così è, e sempre sarà».