Frantumare il reale in tempo di crisi: Il libro delle soluzioni di Michel Gondry

Apologo della creatività, film di astrazioni e attrazioni, che guarda seriamente ma ironicamente al senso dell’arte, e quindi al senso della vita, Il libro delle soluzioni di Michel Gondry è alla ricerca di un ideale e, a quanto pare, illusorio equilibrio tra materia e pensiero, oggetti e idee, poesia e ingegno, luoghi senza contorni e forme senza confini, per raccontare cosa significa fare i conti con l’esperienza della crisi. Opportunità e dolore in cui il tempo si frantuma. Gondry ci ha abituato a tutto questo fin dalle sue prime opere e certamente non è per lui una novità mettere il dito nella (propria) piaga, soprattutto in questa fase del proprio percorso, toccare la sofferenza con le proprie mani di artigiano del cinema. Durante la prima fase della sua carriera questa lacerazione era parsa evidente più in L’arte del sogno che in Eternal Sunshine, di recente più in Mood Indigo che in Microbo e Gasolina, ad ogni modo è sempre stata presente, anche quando prevaleva la leggerezza in progetti briosi e nostalgici come Be Kind Rewind. Cinema bizzarro, sfacciato, pirotecnico e caotico, come ben ha saputo raccontare e sintetizzare François Nemeta con il doc Michel Gondry – Do It Yourself a lui dedicato in cui si ribadisce a chiare lettere che Gondry fa il cinema che ha in mente, anche in questo nuovo film dove qualcosa non gira adeguatamente. Può sembrare un limite ma da qui si deve partire per riconoscere non solo un’autorialità e una coerenza stilistica (e se vogliamo tematica) ma pure una sincerità, non così frequente, anche quando si tratta di rimanere in una condizione sospesa e irrisolta, magari appesantita o, appunto, infranta.

 

 

D’altra parte, beffardamente, non ci si potrebbe aspettare alcuna soluzione da un film come Il libro delle soluzioni inevitabilmente segnato da irrequietezza, agitazione, narcisismo. A cominciare da ciò che sentiamo dire al nevrotico e impulsivo Marc (Pierre Niney), alter ego del regista, «il fallimento è una sequenza di soluzioni intervallate da problemi. Il successo è una sequenza di problemi, intervallati da soluzioni» presto ci si rende conto che le complessità della crisi vissuta dall’artista non sono attraversate con l’intenzione di raggiungere una destinazione e un fine, ma esplorate per far emergere continue epifanie nutrite da incognite e da un dinamismo che arranca di fronte alla prospettiva di un futuro concreto. O della proiezione di quella immagine di futuro che Marc coltiva dentro la sua mente. L’impressione è che Marc (quindi Gondry) tenga stretto un passato dal quale faccia sempre fatica a liberarsi, per scelta chiaramente, come attesta la presenza di un set-mondo ritagliato su misura delle proprie ossessioni ma anche completamente destrutturato se non addirittura distrutto (vedi l’edificio che acquista, vero set cinematografico nel film, che cade a pezzi) e l’intrusione o, se preferiamo, l’intersezione, ma anche la sovrimpressione, di figure umane fondamentali che gli gravitano attorno. Nel legame con il passato c’è la proiezione al futuro, nella dipendenza da altri è inclusa la chiamata a divenire se stessi. Il film di Gondry porta lo spettatore a chiedersi quanto Marc sia ancora in grado di guardare e comprendere ciò che lo circonda, quanto sia capace di addentrarsi in un dialogo incessante con tutto e con tutti: dialoga con la natura, con gli edifici, con i colori e i sapori. Quanto dell’immagine reale è per lui non scontata? Il libro delle soluzioni è quindi un altro film sulla creatività in cui possiamo intravedere alcuni elementi costitutivi dell’atto creativo attraverso il filtro dello sguardo di Marc: capacità di stupore, concentrazione, originalità.

 

 

Soprattutto, Marc accoglie le tensioni che derivano dalle sue polarità, non rimuove i conflitti ma, anzi, si scontra con le resistenze di una realtà che lo fa soffrire. Tutto questo, sembra suggerirci Gondry, è la creatività intesa come disposizione della persona a nascere se stessa, a nascere ogni giorno, evocando il pensiero di Fromm: “Molti muoiono senza essere nati completamente. Creatività significa aver portato a termine la propria nascita prima di morire”. Tra un capriccio e l’altro, un andamento euforico e analogico, Gondry ci consegna una figura tragicomica all’interno di una commedia triste e angosciante, da guardare con affetto anche per via di alcune punte simpatiche, in cui si ribadisce chiaramente che il cinema potrebbe essere (ancora) rimedio alla realtà ma si accorge (ancora) di essere effimera illusione.