Fuga nella vita: su MUBI Quell’estate con Irène di Carlo Sironi

Fuori dal tempo, in un gioco di attesa vaga e di fine rimandata che lascia aperta le tensione delle emozioni, lucida la flagranza di ciò che accade nel flusso dei sentimenti: ci sono Clara e Irène, che sembrano due presenze astratte, anche se stanno perfettamente nella loro giovanissima età. Siamo nell’estate del 1997, praticamente un’altra era, dove Carlo Sironi ha voluto collocare le due ragazze interrotte che ha scelto di raccontare nella sua opera seconda, Quell’estate con Irène (alla Berlinale74 nel concorso Generation KPlus): film docile e sincero, non per questo conciliato però, ché anzi freme nelle linee sotterranee di una curiosità per l’accadere nella vita dei sentimenti che è cosa davvero rara nel cinema italiano. La datazione corrisponde del resto alla ridondanza generazionale di Sironi, che preferisce parlare di un’adolescenza cui è appartenuto, senza cellulari e selfie ma con una videocamera a fissare i ricordi in una prima evoluzione dei “filmini” familiari…L’estate con Irène è quella che Clara trascorre su un’isola siciliana, in fuga dalla colonia per adolescenti in chemioterapia in cui le famiglie le hanno collocate. Il mare, ma senza prendere troppo sole, le sedute di training autogeno, i tragitti in pullman… Tutto troppo controllato, tranne l’amicizia che nasce imprevista tra Clara, così chiusa, pallida, malinconica come una baronessa inglese, le dice Iréne scherzando. La quale è invece scura, più decisa e limpida, forse perché la terapia ha avuto effetto. È Irène che prende per mano Clara e la porta con sé in vacanza: una casa su un’isola, solo loro e il mare, le escursioni nelle grotte locali, il riposo della controra.
 
 

 
E poi le gite in barca e le serate in spiaggia con un gruppo di ragazzi del posto, un po’ più grandi di loro, placidi nella loro libertà estiva. Tra loro c’è Martino, che sa come vedere Clara, ha il suo stesso ritmo e il battito è quello del primo amore, o qualcosa di simile. Nulla che però possa davvero scalfire il rapporto che lega Clara e Irène, il tempo che si stanno dedicando, che è vitale, perché rubato alla morte. Non che ci sia dramma in Quell’estate con Irène, ché Carlo Sironi ha il coraggio di lasciar svaporare la drammaturgia, di creare situazioni e personaggi che stanno in se stessi, non necessitano di andare oltre per trovare la loro definizione. Non è un film sulla malattia, questo, e non è nemmeno un film sull’amore, coi suoi tormenti e le sue estasi: è piuttosto un film che ascolta ciò che accede nei sentimenti, che lavora sulla discrezione delle esistenze che si stanno facendo. Semmai c’è una linea orfica tra le maglie di questo viaggio, una portante che evoca (vedi la scena delle grotte) il fuori tempo di due innamorati in fuga dalla morte, per i quali il tempo dell’attesa è fondamentale. Come del resto accadeva in Sole, dove però la coppia di protagonisti attendeva un bambino (e qui Claudio Segaluscio, presenza magnetica, ritorna come Martino).
 
 

 
Sironi accetta le conseguenze del suo racconto, lo governa senza imporre linee drammaturgiche eccessive, con la discrezione che solo una già sicura maturità espressiva come la sua può reggere. La malattia e la morte restano sullo sfondo, mentre la profondità di campo è occupata dalla flagranza della vita che le due protagoniste si concedono. E poi c’è il controcampo offerto dal coro silenzioso dei ragazzi dell’isola, che sembrano appartenere a un ulteriore tempo narrativo, una sorta di presente che lega alla realtà queste due anime in fuga. E infine il terzo set, quello offerto dalla videocamera, con le sue riprese che prima di essere memoria sono gioco nella realtà, testimonianza di un esserci che segna la vita. Camilla Brandenburg è Clara, di cui descrive la fragilità ma anche la determinazione un po’ introflessa: gioco non facile, perché Sironi le affida un personaggio che si rivela nel corso del film. La Irène di Noée Abita (bella emergente francese, già vista in Ava e Slalom) lavora sulla disinvoltura ombrosa di una ragazza che soffre dentro. Il loro duetto è vitale per il film e il merito è anche di una sceneggiatura (Silvana Tamma assieme a Sironi) che sa sfuggire al troppo dire.